Oggi, sulla piazza, c’è un’ampia disponibilità di tamponi rapidi gratuiti. La Regione, a cavallo dello scorso weekend, ha avviato una fitta campagna di screening di massa, su target prestabiliti di popolazione (ad esempio, quella scolastica), in oltre 50 città siciliane. Dai 71.723 test effettuati fra sabato e lunedì scorso, sono emersi 1.900 positivi asintomatici (pari al 2,65 per cento). Incoraggiante.

Il “contact tracing”, cioè la capacità di tracciamento del contagio, è però una delle numerose pecche che ha relegato la Sicilia in “zona arancione”. Secondo l’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità, risalente al 18 novembre, su 7.061 nuovi casi ben 5.521 sono “non associati a catene note di trasmissione”. Vuol dire che siamo lontani dall’obiettivo di prevenire o tenere sotto controllo la diffusione del virus. I test rapidi antigenici hanno un’affidabilità del 95% e sono quelli più pratici, dal momento che garantiscono il risultato in una manciata di minuti. Ma un altro fattore che li contraddistingue è il costo: detto che nelle campagne di screening organizzate di Asp e Regioni sono gratis, nei laboratori privati non dovrebbero costare più di 15 euro. E’ il prezzo tabellare imposto dall’assessorato alla Salute.

Il vero business, però, è nel campo dei tamponi molecolari. Ossia quelli “classici”. Sono i test più affidabili per la diagnosi di infezione da coronavirus. Vengono eseguiti su un campione prelevato con un tampone a livello naso/oro-faringeo, e analizzati attraverso metodi molecolari di real-time RT-PCR (Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction) per l’amplificazione dei geni virali maggiormente espressi durante l’infezione. L’analisi può essere effettuata solo in laboratori altamente specializzati, individuati dalle autorità sanitarie, e richiede in media dalle 2 alle 6 ore dal momento in cui il campione viene avviato alla processazione in laboratorio. Solitamente, per ottenere il risultato bisogna attendere un paio di giorni – possono diventare di più, dipende dalle circostanze – ma anche il costo, rispetto ai test rapidi, aumenta. A certi livelli, complice l’assenza di regole certe, prevale la deregulation e il sistema va in tilt. Accade in tutte le regioni d’Italia.

Il Sole 24 Ore, ad esempio, ha approfondito il caso della Lombardia, ritenuta un’eccellenza sanitaria. Una regione in cui nessuno, o quasi, tiene conto di una delibera della giunta Fontana, risalente al 12 maggio, in cui si “consiglia” alle strutture ospedaliere, sia pubbliche che private, di fissare un tetto massimo di 62,89 euro. Macché. All’ospedale San Raffaele, dove è stato ricoverato per Covid anche Silvio Berlusconi, un tampone costa 92 euro; idem, se eseguito dal Gruppo San Donato, che fa capo all’ex Ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Qualcuno si spinge addirittura oltre: la Multimedica applica un prezzo di 125 euro, promettendo di dare un responso entro le 24 ore successive. Per i test a domicilio, invece, si paga da 160 a 200 euro. Va un po’ meglio negli ospedali pubblici: al Santi Paolo e Carlo, senza alcuna richiesta da parte del medico curante, si paga 70 euro; all’ospedale di Niguarda, 90. Farlo dai privati, va da sé, ottimizza i tempi.

Della questione si è occupata anche Striscia la Notizia, che ha raccolto segnalazioni e anomalie in tutta Italia: il picco è stato raggiunto a Villafranca, in provincia di Verona, dove per un semplice test naso/oro-faringeo, servono 140 euro. Anche in Sicilia è molto complicato fare ordine. Nella città di Palermo, da laboratorio a laboratorio, il prezzo varia da 50 a 130 euro. Peccato che, come ha affermato l’assessore Ruggero Razza al tg satirico, esista un decreto del 27 marzo 2020, in cui “per le strutture private accreditate che hanno aderito alla manifestazione d’interesse, si individua il costo unitario forfettario di euro 50”. Non avviene quasi mai. In parecchi sostengono che il prezzo sia soltanto “consigliato”. Una tesi smentita dallo stesso Razza: “Il prezzo dei tamponi non è una scelta dei singoli laboratori – ha spiegato l’assessore alla Salute – ma è una decisione che ha preso la Regione con un decreto. E’ un prezzo imposto. In questo momento non è tollerabile speculare e chi non applica le tariffe rischia di pagarne le conseguenze”.

E’ vero, però, anche il contrario. Far pagare un tampone molecolare 50 euro, molto meno che in Lombardia, garantisce ai laboratori privati, oberati di lavoro e prenotazioni, un margine di guadagno irrilevante, o addirittura inesistente. Bisogna, infatti, dotarsi dei dispositivi di protezione individuale per accogliere i pazienti, del kit per effettuare l’esame, e assumersi – non da ultimo – il rischio di beccarsi il virus. I laboratori che non sono dotati dei macchinari più sofisticati, inoltre, inviano il test ad alcune strutture esterne perché venga processato. Una di queste è l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, ente vigilato dal Ministero della Salute, che per completare il lavoro emette una fattura da 58 euro. Un costo di gran lunga superiore al “tetto massimo” imposto ai privati da parte della Regione siciliana. Un gioco a perdere, che si riflette anche sui test rapidi: il prezzo di mercato di un kit della Roche, la multinazionale svizzera che li produce, è di 8 euro. Ne mancano 7 – ma vanno considerate le voci di cui sopra – per arrivare al tetto stabilito dall’assessorato (15 euro). Così com’è, il meccanismo non può funzionare e andrebbe rivisto.

Il malessere, inoltre, viene accentuato dalla concorrenza sleale di alcuni “furbetti”, che pur non avendo aderito alla manifestazione d’interesse – poiché non sono in possesso della biologia molecolari o per la mancanza di altri requisiti – hanno comunque deciso di effettuare i tamponi, appoggiandosi all’esterno. La legge dice che non si può. Ma in attesa che qualcuno li becchi, i prezzi schizzano verso l’alto e gravano sulle tasche di cittadini sempre più inermi e increduli. In alcuni casi, per giustificare lo scollinamento del tetto regionale dei 50 euro, vengono inseriti in fattura i “costi di gestione” della pratica Covid (che saranno mai?), oppure si promette di consegnare il risultato del tampone in un tempo congruo alle aspettative: massimo 24 ore. Un bluff tira l’altro.

Fino a qualche settimana fa, in Sicilia, i laboratori privati accreditati erano 43. Una dozzina, come spiegato dalla dott.ssa Letizia Di Liberti, dirigente generale dell’Osservatorio epidemiologico della Regione, hanno ricevuto una diffida per aver violato le direttive. Alla seconda segnalazione potrebbe scattare la revoca dell’autorizzazione. Ma fra laboratori in entrata, laboratori in uscita, costi fissi e costi variabili, si rischia di affogare nell’approssimazione. Non esattamente la miglior ricetta per combattere un virus che sta approfittando (anche) di queste piccole crepe per dilagare. Ma c’è ancora un ultimo dato, forse quello più preoccupante: secondo il dipartimento nazionale della Protezione Civile, al 15 novembre la Sicilia è la regione con il minor numero di tamponi molecolari effettuati per ogni centomila abitanti: con 16.146 è alle spalle di Puglia e Calabria, oltre che di tutti gli altri. Il “sommerso” (di positivi) potrebbe avere ripercussione sulla salute di tutti, oltre che sulle decisioni di Roma. Tra rosso e arancio, in fondo, non ci sono troppe sfumature.