Alle Terrazze di Mondello cresce l’impresa siciliana. A dispetto dei numeri di Bankitalia, che parlano di stagnazione dei fatturati e salvano (soltanto) il modello dell’export, il settore appare vivo, dinamico e interessato: all’edizione 2019 di Connext Sicilia, il meeting per eccellenza di partenariato industriale, organizzato da Sicindustria martedì scorso, hanno partecipato 450 imprese e 1300 visitatori. Si sono tenuti 12 workshop e sono stati riaffermati alcuni concetti fondamentali come la digitalizzazione e la capacità di fare rete. A tagliare il nastro, il vicepresidente di Confindustria con la delega all’Organizzazione, Antonella Mansi, insieme al vicepresidente vicario di Sicindustria, Alessandro Albanese. “Un tale successo – ha detto Albanese, numeri alla mano – è la risposta a un bisogno delle imprese, ossia quello di fare affari, creare occasioni di business, di incontri, di scambi commerciali e opportunità di crescita. Con Connext Sicilia lo abbiamo fatto e siamo anche andati oltre, perché grazie al marketplace digitale di Confindustria stiamo offrendo alle imprese una grande vetrina che permetterà loro anche nei prossimi mesi di incontrarsi, conoscere nuovi partner, confrontarsi con stakeholder, associazioni e operatori commerciali”.

Sicindustria, insomma, non si riduce a spettatore interessato. Promuove la capacità di fare impresa, incentiva a riunire le idee e dà una mano per affrontare insieme i mercati: “In Sicilia c’è un’industria, un mondo imprenditoriale vivo, c’è la voglia delle imprese di relazionarsi – spiega Albanese –. Con una forte propensione per la digitalizzazione da un lato e l’innovazione dell’altro. “Connext” per noi significa toccare il polso a un’impresa che malgrado tutto – la politica, la burocrazia – resiste e va avanti. Confindustria, oltre a essere rappresentanza e offrire servizi tradizionali, vuole stimolare il confronto fra imprese”.

Ha rimarcato più volte il concetto d’impresa di qualità. Da cosa dipende la qualità di un’impresa?

“Nasce dall’intelligenza dell’imprenditore, dalla sua spinta propulsiva. Non dobbiamo mai dimenticare che un’azienda è fatta di uomini e di idee. La qualità aziendale nasce dalla voglia di innovarsi, di andare avanti puntando su un sistema diverso. Oggi abbiamo anche un altro problema: il ricambio generazionale. E quello dell’apporto umano all’interno delle imprese: a questo livello, un ruolo enorme ce l’hanno la formazione e l’università. Ci sono tanti giovani siciliani che studiano fuori e che dovremmo tentare di far tornare all’interno delle nostre aziende. L’impresa, di per sé, è già questa. Lo vediamo nella sanità con i medici, ma accade anche con ingegneri e profili specializzati”.

E poi ci sono i giovani che preferiscono godere del reddito di cittadinanza…

“Guardi, in questi giorni ne ho avuto una testimonianza diretta. Cercavo fabbri e saldatori per la mia azienda e in tanti mi hanno risposto ‘ho già il reddito di cittadinanza’. Bisogna stare attenti a coniugare le misure dello sviluppo con le misure del sociale. Che del sociale non sono: se io abbandono la realtà del mondo del lavoro, che è quello che ci permette di vivere, di vivere bene e di fare welfare, se l’abbandono per inseguire una misura di supporto al reddito – fra l’altro per un breve periodo – creo un disincentivo al lavoro e, di conseguenza, alla crescita delle imprese. Non sentiamo l’esigenza, nel sistema Italia, di strumenti distonici che mettano soltanto i bastoni fra le ruote”.

Un concetto più volte ribadito a Mondello è quello dell’internazionalizzazione. Forse perché le imprese siciliane non sono ancora riuscite a farlo proprio?

“In gran parte devono farlo proprio. Noi, come Confidustria, abbiamo una rete importantissima che è Enterprise Europe Network. Si occupa della prima parte del processo, cioè la formazione dell’impresa per potersi internazionalizzare. Offre le prime nozioni e accompagna le imprese nei mercati che esse desiderano. Senza dubbio la Sicilia ha un gap enorme, in parte dovuto alla posizione geografica. Si fa presto a dire che siamo la capitale del Mediterraneo quando sappiamo che l’economia è spostata tutta verso il Nord Europa. Dobbiamo imparare a saper raccogliere anche nei mercati asiatici e in quello americano, che è importantissimo. Le nostre imprese devono vincere le diffidenze. Per tanti anni si è detto “piccolo e bello”: si pensava che la piccola e la media impresa sostenessero l’Italia. Oggi una impresa piccola, o piccolissima, non può affrontare i mercati. Quindi c’è una prima necessità di farla crescere sotto il profilo economico e strutturale, dell’organizzazione. Il secondo passo è favorire un’aggregazione di imprese e questo si può fare con le reti”.

Cosa vuol dire, materialmente, fare impresa? Spesso il concetto rimane solo sulla carta.

“Significa mettersi insieme, ma non sul piano patrimoniale, snaturando le proprietà che spesso sono a carattere familiare. Mettiamoci insieme, piuttosto, su tematiche importanti come la commercializzazione del prodotto, l’innovazione e, in parte, la produzione stessa. Le proprietà rimangono distinte, ma l’approccio ai mercati si può fare tutti insieme, utilizzando le migliori risorse che si hanno dentro. Io, ad esempio, ho avanzato una proposta…”.

Quale?

“Riguarda aziende completamente diverse, come quelle aeroportuali. In Sicilia abbiamo due aeroporti di grandi dimensioni, due minori e poi quelli delle isole. Lì andrebbe costruita una rete d’impresa: non fra Palermo e Birgi, ma fra tutti gli aeroporti siciliani, dove si mettono a sistema le cose più importanti. Parlare, ad esempio, con le compagnie aeree come se fossimo un unico macro soggetto può far aumentare il nostro potere contrattuale”.

C’entra qualcosa l’unica società di gestione prospettata, ad esempio, dalla politica?

“Assolutamente no, io dico l’esatto contrario. Le società di gestione rimangono distinte, con patrimoni separati, ma si uniscono nell’affrontare il mercato. Se devo parlare con la compagnia aerea “x” lo faccio come Sicilia, non come Palermo che fa concorrenza a Trapani o Catania. Parlando come Sicilia c’è la possibilità di apparire più forti. Se devo affrontare la tematica di acquisto delle attrezzature, lo faccio con un patrimonio – da noi si contano i passeggeri – che diventa forse il secondo d’Italia. Diventeremmo davvero fortissimi. Le reti d’impresa, applicate alle aziende e ai servizi, possono essere uno strumento eccezionale per l’internazionalizzazione”.

Bankitalia in questi giorni è stata impietosa con l’Isola: parlando di industria, c’è una stagnazione del fatturato e un appiattimento del valore aggiunto. Tiene soltanto l’export. Perché?

“Il sistema industriale siciliano era drogato dalle esportazioni minerarie. Prima era più florido, adesso ha risentito di tutte le problematiche del metalmeccanico: non dimentichiamo la crisi della Fiat o quello che a Gela in raffineria. Il sistema rischia di implodere in tutta Europa. Non bisogna soltanto sperare nelle teste illuminate, ma investire anche sulla parte produttiva. Una grande azienda ha due compiti: il primo è dare un’iniezione all’economia sotto forma di posti di lavoro; il secondo è educativo, cioè la professionalizzazione al lavoro, spingere chi è all’interno delle fabbriche e degli uffici a diventare imprenditore. La cultura imprenditoriale da noi è ancora mal vista, va in contrasto con il criterio del posto fisso. Quello che accade in Veneto, Piemonte e Lombardia è diverso: io faccio il massimo sforzo per avere una mia impresa e poi, se va bene, distribuisco posti di lavoro. Auspico che sempre più italiani diventino imprenditori e nascano sempre nuove imprese”.

Come si fa a colmare il gap, intanto di natura infrastrutturale, con le altre regioni d’Italia e, volendo, d’Europa?

“Coi fondi comunitari, che spesso vengono utilizzati male. Servirebbero a colmare il gap sul numero, la tipologia e la qualità delle aziende; a supportare l’innovazione, che è la principale fonte di crescita delle imprese. Se non vengono spesi per bene, o in tempo, si vanifica tutto e si rischia di perdere centinaia di milioni. Ci vuole un’attenzione particolare e un monitoraggio giornaliero. Su questo aspetto abbiamo incontrato più volte il presidente della Regione e ci siamo subito capiti. Poi le cose sfuggono, i mesi passano e si arriva con l’acqua alla gola. Si spende male pur di dire che si è speso tutto. Ma la qualità della spesa è più importante della quantità”.

Lei è anche il presidente del Palermo calcio. Le cose hanno preso una brutta piega. E’ preoccupato?

“Il mio, per la verità, è più un ruolo di rappresentanza. Ma se mi rivolge questa domanda, le dico che non sono preoccupato, ma preoccupatissimo. Una settimana fa queste preoccupazioni non c’erano. Faremo tutte le verifiche necessarie”.