Lei, la callida Giorgia, la ferrea presidente del Consiglio, l’ostinata Ducetta dei miracoli, lei un motto ce l’ha: Dio, patria e famiglia. Non ne fa un mistero: lo ripete quasi ad ogni comizio. E non fa mistero neppure di tenere in considerazione soprattutto la famiglia, la sua famiglia: dalla sorella Arianna, alla quale ha consegnato le chiavi di Fratelli d’Italia, al cognato Francesco Lollobrigida, detto Lollo, al quale ha assegnato un ministero tra i più importanti della Repubblica, fino al proprio compagno Andrea Giambruno che, pur con le immancabili gaffe, si ritrova tra i volti emergenti dell’amica rete televisiva Mediaset. Con qualche leggera variazione lo stesso motto potrebbe essere stampato sulla facciata di Palazzo d’Orleans, residenza ufficiale di Renato Schifani. Magari cambiando Dio con Io, dato il prorompente narcisismo del governatore della Sicilia. Anche il Renato di Sicilia, confidenzialmente chiamato Renatino, tiene in altassima considerazione la famiglia. La sua: quella composta da Gaetano, da Simona, da Andrea, un ristrettissimo nucleo clientelare che vive e vegeta a carico della Regione.

Sono tutti figli prediletti, tutti primi al traguardo del suo cuore. Anche se il figlio cadetto, il re del cerchio magico, è Gaetano, l’avvocato d’affari che si è forgiato in diverse scuole della politica: prima in quella di Raffaele Lombardo, poi in quella di Gianfranco Micciché, poi in quella di Nello Musumeci, poi in quella di Mara Carfagna e Carlo Calenda. Nel suo peregrinare tra le stanze, le logge e le lobby del potere il sommo Gaetano ha combinato non pochi disastri, ma che importa. Ha combinato anche un grosso guaio con il fisco, che gli contesta tasse non pagate per oltre seicento mila euro, ma ai figli, si sa, si perdona ogni cosa. Ricordate la parabola evangelica del Figliol Prodigo? Per festeggiare il suo ritorno a casa il padre misericordioso ordinò alla servitù di uccidere il vitello più grasso. Cosa che puntualmente ha rifatto Schifani: ha accolto con tutti gli onori il ritorno a Palazzo d’Orleans di Gaetano, sonoramente sfregiato da un misero due per cento raccolto alle ultime elezioni regionali. E lo ha rivestito di autorità. Non solo. Gli ha pure concesso uno stipendio di sessantamila euro l’anno; gli ha assegnato una stanza accanto alla sua, per poterlo tranquillamente consultare in ogni momento; gli ha consegnato le chiavi d’entrata e d’uscita dei fondi europei, una giostra di miliardi sulla quale potrà divertirsi; e, siccome l’amore non ha confini, lo ha messo anche a capo dell’imperscrutabile ufficio delle autorizzazioni ambientali: da ora in poi chiunque vorrà impiantare un’industria in Sicilia dovrà fare i conti con questo enfant prodige del funambolismo, dell’acrobazia, dell’avventurismo, dell’azzardo, del cambio di casacca. Immaginate che cosa succederà il giorno in cui la Regione dovrà scegliere l’impresa o il consorzio d’imprese a cui affidare il miliardario appalto dei termovalorizzatori, con Schifani commissario governativo. Immaginatelo. Attivate la fantasia, per favore. Attivate la preveggenza. Altro che vitello grasso, come racconta il Vangelo. Neanche Totò Cuffaro, che fino a oggi passa per essere il più fraternissimo amico e sodale di Schifani, riuscirà quasi certamente a mettere il naso tra le maglie della complicata trattativa.

Degli altri membri della famiglia, per quanto amatissimi, nessuno riesce a stare dietro a Gaetano che a Palazzo d’Orleans, da grand commis fa e disfa tutto a suo piacimento. Simona, figlia unica e dunque adorata, ha la sua paghetta – altri sessanta mila euro l’anno – ma non tocca palla. Lei, poverina, forte dei suoi giorni vissuti splendidamente tra le mura del Senato, credeva di potersi accaparrare la pregiata presidenza delle autorizzazioni ambientali ma il fratello Gaetano, cinico e impietoso, all’ultimo momento ha fatto valere i suoi titoli di avvocato d’affari e l’ha bullizzata. Mettendola di fatto fuori dai giochi.

Promette bene invece il terzogenito Andrea. E’ molto giovane. Non ha un corsus honorum pari a quello dell’inarrivabile Gaetano, ma ha collezionato già non pochi cambi di casacca. E’ stato addirittura il primo a saltare dalla barca di Miccichè, che stava per affondare, a quella di Schifani e da allora lo chiamano “il centometrista” per le sue straordinarie doti di velocità messe al servizio del tradimento. Finora comunque ha rastrellato solo giocattoli. Cosuzze: l’inutile Corecom, la spelacchiata sovrintendenza dell’Orchestra sinfonica, il farlocco Festino di Santa Rosalia, lo sperduto festival di Morgantina e altra minutaglia da mordi e fuggi. Pagnottelle, insomma. Però promette bene. Su facebook, per darsi un tono, sfoggia amicizie altolocate. Si fotografa in posa col paternissimo Schifani e quando rastrella incarichi per la sua società si presenta con l’araldico marchio della casa. Si farà.