Giovanni Brusca, il boss mafioso pluriomicida condannato per la strage di Capaci, rimane in carcere. Lo ha deciso la prima sezione penale della Corte di Cassazione, che al termine della camera di consiglio di ieri ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa del boss di Cosa Nostra. Niente domiciliari. Brusca, il 23 maggio 1992, azionò la leva che fece esplodere l’auto su cui viaggiava il giudice Giovanni Falcone, assieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. In questi anni da collaboratore di giustizia ha già usufruito di oltre ottanta permessi premio. Secondo la Procura Nazionale Antimafia, Brusca, dopo 23 anni, sarebbe potuto uscire di galera e scontare la sua pena ai domiciliari.

Per il procuratore nazionale Cafiero de Raho, “il contributo offerto da Brusca Giovanni nel corso degli anni è stato attentamente vagliato e ripetutamente ritenuto attendibile da diversi organi giurisdizionali, sia sotto il profilo della credibilità soggettiva del collaboratore, sia sotto il profilo della attendibilità oggettiva delle singole dichiarazioni”. E poi “sono stati acquisiti elementi rilevanti ai fini del ravvedimento del Brusca”: le sentenze che hanno riconosciuto “la centralità e rilevanza del contributo dichiarativo del collaboratore”, e “le relazioni e i pareri sul comportamento di Brusca in ambito carcerario e nel corso della fruizione dei precedenti permessi”. Il parere si basa, inoltre, sull’ “affidabilità esterna” certificata dagli operatori del carcere di Rebibbia, che aggiungono: “L’interessato non si è mai sottratto ai colloqui e partecipa al dialogo con la psicologa, mostrando la volontà di dimostrare il suo cambiamento”.

La procura generale, con requisitoria scritta, aveva chiesto ai giudici della prima sezione penale di rigettare il ricorso. Di fronte all’ipotesi della sua scarcerazione, era intervenuta anche Maria Falcone, sorella del giudice rimato ucciso a Capaci: “Fermo restando l’assoluto rispetto per le decisioni che prenderà la Cassazione, voglio ricordare che i magistrati si sono già espressi negativamente due volte sulla richiesta di domiciliari presentata dai legali di Giovanni Brusca. Il tribunale di sorveglianza di Roma, solo ad aprile scorso, negandogli la scarcerazione, ha avanzato pesantissimi dubbi sul suo reale ravvedimento”. Brusca si è macchiato dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo (figlio del pentito Santo), di cui è risultato il mandante.