Una forchettata di populismo, una giustizia alla bisogna, e il menu è servito: il destino di Leoluca Orlando e Matteo Salvini scorre parallelo. Sembra passato un lustro da quando i due si sfidarono a duello sul decreto sicurezza: per le intemperanze del sindaco di Palermo, che minacciava di sospenderne gli effetti nella parte riguardante le competenze comunali, ossia la possibilità di non ottemperare al rilascio della residenza anagrafica agli stranieri cui non era stato rinnovato il permesso di soggiorno. La bagarre è andata avanti per giorni e Orlando, ogni tanto, prova ancora a rinfocolarla. Perché il dibattito con Salvini, tra Salvini e un sindaco, rischia di diventare fine a se stesso, inquadrato in un’ottica di legittimità giuridica (legge dello Stato batte sindaco tre a zero). Ma perdere la potestà di un’iniziativa forte e universalmente riconosciuta, per cederla all’operato sciatto di governatori e giudici costituzionali, non è roba da Leoluca. Che così è tornato alla ribalta ma rischia di schiantarsi su un muro di gomma. E qui veniamo al dunque.

Il capo dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Palermo, e tutti i suoi funzionari, faticano a recepire quella che è, ça va sans dire, legge dello Stato. Temono ripercussioni sul piano giudiziario, come ha affermato Nicola Scaglione, segretario del sindacato Csa Palermo. “Abbiamo esperienza di colleghi che hanno avuto grane giudiziarie solo per aver inserito nel sistema una pratica ritenuta poi illegittima”. Figurarsi con pratiche che non hanno, dal decreto Salvini in poi, alcun diritto d’asilo. E sebbene la “rivolta” dei dipendenti comunali, che hanno cominciato a sudare freddo, pesi molto meno della sparata di Orlando, finirà per rivelarsi definitiva (magari anche letale). E’ come se il professore si fermasse cento metri prima della presa della Bastiglia, a una manciata di pedalate dal Gran Premio della Montagna. Ma come? Sollevare tutto questo ambaradan e non andare in fondo? Il comune destino dei populisti, potrebbe affermare chi lo aspetta dietro l’angolo. Così il sindaco non s’arrende, rassicura fan, dipendenti e migranti richiedenti: “Firmo io”. Ma non basta: “Il sindaco se vuole assumersi in pieno la responsabilità deve non solo firmare ma anche lavorare le pratiche” fanno sapere dal sindacato. Pretesa impossibile per uno che ha poco tempo di stare a Palazzo. E tanto meno nelle aule dei tribunali.

Orlando avrebbe comunque il merito di aver sollevato la questione. Di essere un popolano e un populista. Ma per non fare la fine del ciarlatano, deve esserci un piano-B. Quello che il “professore” insegue ormai da giorni: ottenere una denuncia e rivolgersi al giudice civile, per poi sollevare in via incidentale il principio di incostituzionalità della legge. Una pretesa mica male. Un’iniziativa che darebbe al suo alter ego, Matteo Salvini, la possibilità di rilanciarne l’immagine “pro-clandestini” sui social, guadagnare un mucchio di “mi piace” e spartirsi (platonicamente) i meriti. Perché per un incontro fra i due, se dovesse mai esserci, occorrerà aspettare che il Ministro scenda a Palermo per la consegna di tre villette confiscate alla mafia. Le stesse che Orlando dice di abbattere (perché abusive).

L’unica vera differenza tra i due populisti è che Orlando difficilmente potrà fare a meno di Salvini per guadagnare punti (o perderli). Per Matteo non vale il contrario. Lui ha tutti i giorni una chance. Gliela offrono, talvolta, uno stupratore di colore, un rapper, un sindaco, Balotelli. O un procuratore della Repubblica. Attorno a quello di Palermo, Francesco Lo Voi, il balletto del Ministro è singolare. Ieri, quando un nucleo dei Ros ha catturato 15 presunti terroristi in Sicilia, su iniziativa della direzione distrettuale antimafia, Salvini non poteva esimersi dall’applaudire: “Altro che farne sbarcare altri o andarli a prendere con barconi e aerei, stiamo lavorando per rimandarne a casa un bel po’. Scafisti e terroristi: a casa!”. E’ la procura di Palermo a contestare ai quindici di cui sopra il reato di istigazione a delinquere con l’aggravante terroristica. Il procuratore Francesco Lo Voi per l’esattezza. Lo stesso che qualche mese fa – era inizio settembre – venne sbeffeggiato in diretta Facebook direttamente dal Viminale, in Roma. Dall’ufficio del sobrissimo Salvini.

Il leader della Lega, con una trovata scientifica sotto il piano comunicativo, aprì la busta gialla con cui Lo Voi lo informava di aver aperto a suo carico un’indagine per sequestro di persona aggravato, relativamente ai fatti accaduti a Ferragosto sulla Diciotti. Un avviso di garanzia. I commenti del Ministro che seguirono la diretta non furono affatto teneri nei confronti del procuratore: “Qui c’è la certificazione che un organo dello Stato indaga un altro organo dello Stato, con la piccolissima differenza che questo organo dello Stato, pieno di difetti e di limiti, per carità, è stato eletto, altri non sono eletti da nessuno”. E ancora, a rincarare la dose: “Apprezzo il lavoro dei tantissimi giudici che fanno obiettivamente, onestamente ed efficacemente il proprio lavoro di lotta alla corruzione, alla mafia, agli sprechi: giù il cappello… Capisco un po’ meno quei pochissimi giudici che si proclamano di sinistra, così come li capirei poco se si proclamassero di destra, e in base a questa loro cultura politica e partitica emettono sentenze. Chi decide della vita altrui, della colpevolezza e dell’innocenza e si proclama di destra o di sinistra, secondo me perde di libertà e autorevolezza”.

Salvini, che aveva esibito quell’avviso di garanzia come una medaglietta (e se lo attaccò alla parete dell’ufficio), reagì con garbo e soddisfazione alla richiesta d’archiviazione apparsa il mese dopo sullo stesso tavolo. Portava la firma di un altro pm, Carmelo Zuccaro della procura di Catania. Il “buono” della situazione. Ma da ieri anche Lo Voi sta fra i buoni. O al massimo in entrambe le liste – dei buoni e dei cattivi – che l’alunno distratto, o il capitano, non ha ancora fatto in tempo ad aggiornare. Tanto è uguale, tutto fa brodo. Come un magistrato “schifiato” che si trasforma improvvisamente in salvatore della patria. Come un politico che ha sempre ragione e mai torto. Come la giustizia, a uso e consumo di chi la reclama. Come le parole e gli insulti, che in Paese dilaniato da divisioni e malumori, andrebbero pesate di più. Da Palermo a Pontida. Da Orlando a Salvini.