Diventare avventurieri a Palermo? Si può. Dimostra Salvatore Tuttolomondo. Se qualcuno avesse dato un’occhiata ai trascorsi, si sarebbe accorto che il direttore finanziario di Arkus Network – il cui nome non è mai comparso nel consiglio d’amministrazione del club – in passato è stato responsabile del fallimento di una finanziaria, la Fiscom. Finché non intervenne la prescrizione a salvarlo. Eppure non gli è servito chissà quale miracolo per addentrarsi nella carne viva del club. Gli hanno stirato il red carpet due vecchie conoscenze di viale del Fante: Rino Foschi e Daniela De Angeli, rispettivamente direttore sportivo e direttrice amministrativa (nonché tuttofare) ai tempi di Zamparini.

Hanno accolto Arkus, questo “colosso del turismo” da un milione di capitale sociale, dal portone principale. Gli hanno servito i pasti migliori, consegnato le chiavi di casa e hanno tolto il disturbo. Foschi ha provato ad abbarbicarsi alla poltrona, ma le differenze di vedute con Fabrizio Lucchesi, il direttore generale designato, hanno costretto la proprietà ad allontanarlo; la De Angeli un ufficio, seppur defilato e insignificante, è riuscita a tenerselo. Ora è stata inibita dal Tribunale Federale Nazionale per il trasferimento “sospetto” di un calciatore. Unica superstite dei tre passaggi di proprietà di questa stagione infame: da Zamparini agli inglesi, dagli inglesi a Foschi, da Foschi ai Tuttolomondo. Un’immane perdita di tempo e un finale struggente: l’esclusione dal campionato di Serie B.

Se bisognava far fallire il Palermo, non serviva un Tuttolomondo qualunque. Sarebbero bastati gli inglesi, che in due mesi ai vertici, a parte qualche selfie e un pranzo a Sferracavallo, non hanno investito due lire. Zero. Gettando nel ridicolo l’amministratore delegato Emanuele Facile, l’unico italiano a bordo, che si è persino concesso il lusso di gettare alle ortiche una potenziale occasione di vendita (non che Raffaello Follieri, imprenditore italo-americano, fosse sinonimo di garanzia). O poteva pensarci Rino Foschi, con la complicità della De Angeli: col debito monstre accumulato dal Palermo – una cifra vicina ai 50 milioni – sarebbe bastato uno schiocco di dita per portare i libri in tribunale. Invece no, è servito l’ennesimo avventuriero dotato di discreta parlantina, capace di assuefare con i suoi modi determinati e incisivi. Alla ricerca del miglior sotterfugio pur di non recedere dalla propria, imbarazzante, missione: continuare a impressionare, a illudere.

Tuttolomondo non è ancora uscito dalla parte: “Mi vede preoccupato?” ha replicato a un cronista che gli domandava dell’esclusione del Palermo dal campionato di B, la notte del 24 giugno, l’ultima disponibile per mettere a posto i conti e non solo quelli. No, non lo era affatto. Oggi grida al complotto, lontano da Palermo. Minaccia ricorsi al Tar, che hanno la stessa probabilità di essere accolti delle navi delle ong da Salvini. Lancia videomessaggi in cui spiega nessuno gli scipperà il Palermo dalle mani: “Abbiamo tirato fuori soldi veri e laddove non graditi passeremo la mano dietro rimborso dei denari fin qui corrisposti”. Disse “noi da qui non ce ne andiamo, passeremo l’estate a Palermo se necessario”. Il giorno dopo era già in fuga per salvarsi dal linciaggio dei tifosi, che quella notte si presentarono allo stadio carichi dei peggiori insulti. Povere anime.

Hanno sopportato fin troppo. Persino le prese in giro del signor Tuttolomondo, che il 3 maggio accompagnato dal fratello Walter – lui sì, consigliere del club – e da altri personaggi del tutto estranei (ad eccezione di Lucchesi) si presentò con la promessa di investire 30 milioni. Di farlo più o meno subito. Ingannò tutti, persino quell’esperto di Rino Foschi, che come ultimo regalo al “suo” Palermo gli spalancò le porte per l’ennesima pantomima: “Io e Daniela De Angeli abbiamo lavorato di concerto alla cessione del club al fine di trovare un acquirente autorevole e credibile che possa garantire un presente sereno ed un futuro roseo alla società – disse all’epoca Foschi, da presidente uscente – Abbiamo chiuso l’accordo con un gruppo molto importante e molto serio sia dal punto di vista imprenditoriale e finanziario, sia etico e morale, quindi mi sento assolutamente sereno”. Etico e morale. Gli “avventurieri” avevano tutte le carte in regola per fare meglio dei predecessori: “Sono felicissima, abbiamo voltato pagina” disse la De Angeli.

E meno male. A favore dei Tuttolomondo giocava la lingua: l’italiano. Annunciarono un grande piano per rilanciare il Palermo, al contrario degli inglesi che alla presentazione non seppero spiccicare verbo e furono vaghi persino sul nome degli acquirenti; misero un palermitano alla presidenza (Alessandro Albanese, capo degli industriali) e ci costruirono un cda attorno; dissero che erano disposti a rimanere anche in B (il Palermo s’era qualificato per i playoff, ma fu declassato dalla Procura federale), donando un sospiro di sollievo ai più pessimisti; presero un allenatore di grande sapienza calcistica (Pasquale Marino) per convincere la piazza che tutto andava a meraviglia. Che sarebbe stato l’anno zero, il momento del riscatto. La risurrezione. Ottennero dal sindaco Leoluca Orlando – che in verità ha titubato fino all’ultimo – la concessione dello stadio Barbera per un altro anno. Misero alla porta Foschi, e non è detto che fosse un male. Insomma, qualcosa fecero. Qualcosa per convincere che la macchina fosse in moto, in attesa di inserire le marce alte.

Perso il senso della realtà, iniziarono a mentire. Sulla fideiussione, che affidarono, per il tramite di un broker poco raccomandabile, a una compagna assicurativa bulgara cui non funzionavano i computer (non fu mai emessa); dissero di aver pagato gli arretrati ai calciatori, ma i bonifici – secondo Banca Ifigest – non sono mai arrivati a destinazione; confermarono di aver sanato tutte le pendenze nei confronti negli organi federali, compresa una multa da cinquecentomila euro per un illecito amministrativo. Ma niente. Risulta che l’unico pagamento effettuato, per di più a nome di soggetti che nulla c’entrano con quelli controllanti, fosse di 5,8 milioni di euro e comprendesse il ramo d’azienda di una società che vantava un credito fiscale nei confronti del club. E dal primo all’ultimo istante – elemento persino più fastidioso delle inadempienze – hanno assicurato ai tifosi e alla piazza che la B si sarebbe fatta, che la Covisoc avrebbe compreso “lo stato di necessità” di un pc rotto in Bulgaria e consentito l’integrazione di una documentazione fasulla che non è mai stata presentata. Hanno detto di tutto, ma si sentono perseguitati.

E con una maggioranza bulgara, qualche giorno fa, hanno spodestato dagli assetti del club gli unici due elementi che con Arkus non c’avevano a che fare: il presidente Albanese, messo lì a titolo di rappresentanza, nel tentativo di scucirgli i tre milioni promessi da un gruppo di industriali; e il banchiere, enfant prodige della finanza palermitana, Vincenzo Macaione. Rei, entrambi, di aver richiesto ai Tuttolomondo i documenti che ne confermassero le buone intenzioni. Quelli che sarebbero serviti a iscriversi al campionato. Li hanno rimpiazzati con Stefano Pistilli, amministratore delegato di Arkus Network, il cui nome fece saltare dalla sedia alcuni consiglieri comunali di Sinistra Comune al momento del closing. Pistilli, infatti, è un manager vicino agli ambienti dell’ultradestra, Forza Nuova per la precisione, e segretario di un partito, “Coalition pour la vie et la familie”, che promuove l’ideologia no-gender. Oltre ad essere lo stimatissimo director della britannica Gepro Investments, proprietaria di Arkus Network all’89%. Ovunque ti volti c’è un inglese che sa di beffa.

Ma la fine stavolta è vicina e Orlando ha promesso che non accadrà più. Nel nuovo bando pubblicato dall’Amministrazione comunale – non appena il Consiglio federale ratificherà la cessazione dell’affiliazione – ci sarà spazio per la clausola anti-truffaldi. L’obiettivo è trovare imprenditori seri, gente che la smetta di giocare coi sentimenti e con la fede. Il calcio, a Palermo, non è quel genere di gioco.