L’ennesimo caso di corruzione – a carico della Sicula Trasporti e di Nino Leonardi, arrestato – rischia di gettare un’altra ombra sui processi politici e decisionali dell’amministrazione regionale. Sia sotto il profilo burocratico, dato che è partita dagli uffici l’autorizzazione che nel 2018 ha concesso un ampliamento di 1,8 milioni di metri cubi alla discarica di contrada Grotte; che istituzionale, avendo la struttura dell’assessorato, e di conseguenza Palazzo d’Orleans, avallato tale decisione. Oggi si scopre che all’interno di quella discarica, la più grande della Sicilia, oltre ad essere abbancati i rifiuti di oltre duecento Comuni, c’era anche un milione di euro in banconote di piccola taglia, appositamente rinchiuso nei bidoni e interrato. E si scopre pure che Nino Leonardi, patron 57enne della Sicula, definito non a caso il “re dei rifiuti”, era pressato dalla mafia per l’affidamento di un chiosco nello stadio della Sicula Leonzio, la squadra di calcio a conduzione familiare. Corruzione e mafia intrecciano le loro storie e i loro destini, e nessuno riesce a sbrogliare la matassa. Ne abbiamo parlato con Claudio Fava, presidente della commissione regionale Antimafia.

Onorevole, eppure Leonardi aveva garantito in un’intervista di qualche mese fa a “La Sicilia”, che non aveva mai subito pressioni dalla mafia…

“Mentiva clamorosamente. Da una precedente indagine, infatti, si è scoperto che pagava ogni mese 7 mila euro a un messo della famiglia Cappello. Disse che si trattava di un’estorsione ricevuta “in eredità”, che aveva già riguardato chi gestiva la discarica prima di lui… In realtà, la vicenda della Sicula Trasporti dimostra che c’è un territorio comune e conteso fra corruzione e criminalità mafiosa. Perché in questa vicenda, da una parte ci sono patti corruttivi, manifesti, un milione di euro sepolto sotto i rifiuti da utilizzare come fondi neri per corrompere il funzionario dell’Arpa che ogni settimana, puntualmente, si presenta con il Frecciarossa a riscuotere; dall’altra, le pressioni di una famiglia mafiosa su talune loro attività attorno allo stadio di Lentini”.

Questo cosa significa?

“Che i fatti corruttivi sono un passepartout che permette alla criminalità di stampo mafioso di possedere, meritare e finanziare territori e attività economiche. E’ quello che ripetiamo da anni e stiamo cercando di mettere a frutto con la commissione antimafia. Non si tratta di due rami d’indagine che scorrono in direzioni opposte. Quando parliamo di mafia parliamo di corruzione, e viceversa. Questo sistema ha comportato un disservizio clamoroso per i siciliani, un ciclo dei rifiuti all’anno zero, dei profitti incredibili nelle mani di poche famiglie di privati e una spesa regionale impressionante”.

Oggi la politica può fare finta che questa storia non la riguardi? D’altronde, i comportamenti di Leonardi non sono direttamente collegati all’ampliamento della discarica.

“Non può farlo oggi e non poteva farlo nemmeno ieri. Ad esempio, quando ha deciso di prorogare per dieci anni l’autorizzazione alla Oikos (è arrivata, poi, una sentenza di condanna nei confronti di Mimmo Proto e del funzionario Gianfranco Cannova, che svela un meccanismo corruttivo tra Regione e impresa); ma nemmeno a gennaio 2018, quando ha concesso un’autorizzazione per l’ampliamento di 1,8 milioni di metri cubi alla Sicula Trasporti, ignorando le evidenze che alcuni atti ispettivi, dovuti all’assessore dell’epoca Nicolò Marino, avevano svelato sui percorsi autorizzativi”.

Lei ha rivendicato il ruolo della sua commissione. Della serie, “noi l’avevamo detto”.

L’amara consolazione di questa vicenda è che per una volta un pezzo di politica sia arrivata prima. Le parole utilizzate dalla nostra commissione per denunciare il vassallaggio della politica e della burocrazia nei confronti dei privati, relativo al contesto corruttivo in cui si colloca il ciclo dei rifiuti, sono le stesse che usa il procuratore della Repubblica di Catania, citato nel rapporto della Guardia di Finanza, quando parla di un funzionario che ‘risultava aver totalmente asservito la sua pubblica funzione alle finalità utilitaristiche e personali perseguite da Antonino Leonardi’. Lo stesso meccanismo e le stesse espressioni erano già stati raccontati dalla vicenda Proto-Cannova”.

A questo punto che succede?

“Abbiamo sollecitato una presa di consapevolezza e, quindi, un intervento di indirizzo politico da parte di chi ha funzioni di governo. Speriamo che accada”.

Cosa deve fare la Regione? E’ verosimile o doveroso procedere alla revoca dell’autorizzazione?

“La Regione in questi anni è arrivata sempre a babbo morto. Intervenendo in autotutela solo a seguito di un’inchiesta penale. E ignorando sistematicamente le preoccupazioni emerse in altri ambiti istituzionali, le sollecitazioni arrivate da comitati di cittadini, le denunce di associazioni ambientaliste, le inchieste aperte dalle Procure della Repubblica. E’ intervenuta come un semplice notaio di paese per dire ‘beh, visto che è così, rivediamo in autotutela le decisioni che avevamo assunto’. Non basta”.

Alla concessione dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale), nel 2018, concorrono due dirigenti. Eppure nessuno si assume la paternità di quella concessione. E’ uno dei passaggi più interessanti della vostra relazione.

“Sulla vicenda Sicula Trasporti ho chiesto al dirigente generale attualmente in carica, Cocina, e a quello che l’aveva preceduto, Valastro, come sia stato possibile arrivare a un’ autorizzazione per 1,8 milioni di metri cubi e attraverso quali valutazioni, considerate le preoccupazioni di quel periodo. Il vecchio dirigente mi ha detto che non se n’è mai occupato, il nuovo che era già tutto impiattato. E’ il classico scaricabarile, che non permette di individuare il luogo in cui si collocano la decisione e la responsabilità: se sul piano del governo o dell’amministrazione. Ed è la sensazione che ci hanno restituito 50 audizioni su vent’anni di ciclo dei rifiuti. Hanno tutti giocato a scaricare la palla delle decisioni su qualcuno assente dai nostri ragionamenti: il burocrate faceva riferimento a un funzionario; l’assessore dava la colpa al dirigente generale, e così via…”.

Baratterebbe la revoca dell’Aia 2018 con lo stop ai nuovi progetti dei Leonardi? Uno prevede un ulteriore ampliamento della discarica per 4,5 milioni di metri cubi; l’altro, dal valore di oltre cento milioni, la costruzione di un gassificatore per bruciare rifiuti.

“Il problema è un altro… Siamo di fronte a una discarica che raccoglie i rifiuti di 200 Comuni per cui, al di là dell’inchiesta giudiziaria, mi rendo conto che chiuderla dall’oggi al domani sarebbe problematico. Il punto, politico, è un altro: per 20 anni – dolosamente – non si è cercata un’altra soluzione, facendo dell’emergenza un pretesto per poter avere nei privati l’unico sfogo del ciclo dei rifiuti. Se, in questi dieci anni, avessimo investito un decimo di quanto abbiamo dato ai privati, oggi avremmo impianti pubblici che lavorano i rifiuti, a monte, con la possibilità di conferire in discarica il 10% della spazzatura prodotta in Sicilia e non il 90%. Il dolo non sta nell’aver tollerato questa situazione per dabbenaggine, ma nell’averlo voluto, perché c’erano dietro gli interessi di alcuni imprenditori che supplicavano di poter gestire un giro d’affari da 300 milioni l’anno”.

Troncare coi privati non si può, perché si rischia il caos. Ma è impossibile anche programmare investimenti pubblici, dal momento che non esiste ancora un “piano dei rifiuti”. Che fine ha fatto?

“Quando rivolgo questa domanda a qualcuno del governo, mi sento rispondere che ‘il piano c’è, l’abbiamo scritto, è pronto’. E’ da due anni e mezzo che l’assemblea regionale aspetta di conoscerlo. Eppure non è un documento prodotto nelle segrete stanze o nel gioco dei tarocchi. Il piano, badi bene, non la riforma della governance, ossia il tecnicismo che sostituisce la sigla di un consorzio con un’altra. Il piano dei rifiuti: cioè come noi organizziamo il ciclo, con quali priorità, con quali esiti, quali investimenti e in quali direzioni. Il governo continua ad affermare che il piano c’è, ma sta tutto nel cuore e nell’anima di chi avrebbe dovuto portarlo in aula. La conseguenza è che continuiamo ad abbancare solo nelle discariche private”.

Perché nella sua città, Catania, il bando di gara per l’assegnazione dell’appalto settennale della raccolta dei rifiuti è andato deserto per cinque volte?

“Non vorrei anticipare una risposta che spetta all’autorità giudiziaria, ma la domanda è più che legittima. Se un appalto di quelle proporzioni non viene affidato così tante volte, vuol dire che c’è una patologia nel bando di gara o nel contesto economico. Il fatto che un terzo dei comuni siciliani continui ad affidare la raccolta dei rifiuti attraverso una gara ponte o per affido privato, è essa stessa una patologia”.

Esistono dei punti di contatto tra il mondo dei rifiuti e quello della sanità. Il primo lo avete indagato a lungo in commissione, presto comincerete col secondo.

“La dinamica che li accomuna si chiama corruzione. La sensazione è che l’amministrazione pubblica sia permeabile, e quindi esista un governo parallelo in grado di pilotare, ogni volta, gare d’appalto per la sanità, processi autorizzativi per le discariche,  le scelte degli assessorati come avveniva con Montante. Siamo di fronte a un sistema in cui la cosa più preoccupante e imbarazzante, ma di cui si parla zero, è che ci sono dietro gli stessi modelli operativi e i medesimi personaggi di sempre. I quali garantiscono che le decisioni siano assunte in luoghi diversi da quelli istituzionalmente deputati. Il meccanismo è quello ed è stato tollerato, perché alla fine produce carriere, consensi, impunità e voti”.