A parte Brucoli, la lezioncina dei patrioti sul turismo e l’inchino di Schifani al Balilla, il fatto più eclatante dello scorso weekend è stato l’addio alla Triplice Alleanza: Raffaele Lombardo, stretto nella morsa fra il presidente della Regione e Totò Cuffaro, ha scelto di farsi da parte. Ma non in maniera mesta e remissiva. Il primo atto ufficiale della nuova era, che somiglia per certi versi alla vecchia, è stato un patto rinnovato con la Lega di Salvini (anche perché il precedente, secondo l’ex governatore di Grammichele, il buon Matteo non l’aveva neppure letto). Si riparte quindi: nel solco del Ponte sullo Stretto e dell’Autonomia differenziata, ma soprattutto nella speranza di agguantare un seggio alle prossime Europee, Lega e Autonomisti si rimettono insieme. Cancellando d’un tratto le differenze e lo scetticismo che pervadeva questa strana alleanza (e che forse lo pervade ancora).

Sarebbe stato più strano, e persino patetico, ritrovarsi con Lombardo e Cuffaro nello stesso listone di Forza Italia capeggiato da Schifani. E’ stato il leader del Mpa a rinunciare: “Quando c’è Cuffaro di mezzo non dimostra un grande equilibrio” ha detto riferendosi al governatore. Ma anche il patto federativo con la Lega mostra qualche discrepanza rispetto alla realtà. E non per colpa di Lombardo. In realtà non è colpa di nessuno se lui e Luca Sammartino, attuale maggiorente del Carroccio – specie nel Catanese – mal si sopportano. Il vicepresidente della Regione, che sta simpatico persino a Schifani, non avrebbe risposto alla chiamata del ‘rivale’ che avrebbe voluto comunicargli per primo la chiusura dell’accordo, come a voler sancire i nuovi rapporti di forza: “Non gli prendeva il telefono”.

O forse aveva messo la segreteria di proposito, per aver fiutato in anticipo come sarebbe andata. La notizia di un riavvicinamento con Lombardo, gestita direttamente da Roma, avrebbe lasciato di stucco molti leghisti, tranne uno: l’ex segretario regionale Nino Minardo, oggi presidente della commissione Difesa alla Camera dei Deputati. Ma tutti gli altri? Ovviamente, nei comunicati stampa, traspare una grande soddisfazione. Persino in quello firmato dai deputati del Carroccio all’Ars, fra cui Sammartino, che avrebbero accolto “con entusiasmo la decisione del rilancio del patto federativo con l’Mpa, anche in vista delle prossime elezioni europee”. Fino al marzo scorso una prospettiva impossibile. Si discuteva della possibile candidatura di Valeria Sudano, compagna di Sammartino, a sindaco di Catania. Eventualità che per Lombardo fu da subito fuori discussione: “Quella di Valeria Sudano – tuonò – non è una candidatura politica”, ma una scelta che ha “bypassato il tavolo programmatico” con un “gruppo umano che ha occupato un partito politico” passato in “Udc, Articolo 4, Partito democratico e Italia viva” e che ha “sfiorato Forza Italia prima dell’approvazione alla Lega”.

Sammartino, in tutta questa storia, rappresenta il punto d’equilibrio (o di rottura). Se dovesse scegliere di rimanere nel Carroccio, dovrà fare i conti con un alleato ingombrante. Se dovesse andare, lo aspetta la DC di Totò Cuffaro, con il quale c’è grande feeling. Non solo per la partecipazione di Sammartino alla Festa dell’Amicizia di Ribera, ma per una sorta di affinità elettiva che nessuno dei due fa nulla per nascondere. C’è e basta (Totò sì che ha sostenuto fino in fondo l’ipotesi Sudano a Catania, altro che Lombardo). Ora: immaginate Sammartino (e non Lombardo) nel listone di Schifani e Cuffaro alle Europee: tornerebbe possibile anche la conquista di un secondo seggio, mentre ora si profila una sfida fra la democristiana Francesca Donato, ex leghista, e la forzista Caterina Chinnici.

Un simile scenario, però, avrebbe inevitabili ricadute sulla Lega, anzi sulle Leghe. Perché da un po’ di tempo a questa parte, ed esattamente dalla scalata dei Luca boys nel 2021, Salvini in Sicilia ha questo genere di problemi: da un lato un uomo forte con tanti accoliti, e dall’altro lato i leghisti della prima ora, che hanno mal digerito l’abbuffata dei nuovi innesti (compreso Mimmo Turano, alla vigilia delle ultime Regionali). Per dirimere le questioni interne, e ricucirle con ago e filo, il Capitano ha pensato di mettere a capo del partito una figura di garanzia: l’europarlamentare Annalisa Tardino. La quale, però, è apparsa parecchio turbata dall’arrivo di Lombardo, specie se il leader del Mia dovesse candidarsi a Strasburgo (“Continuo a ricevere tante pressioni”): “Correre contro un fuoriclasse non capita a tutti – è la replica di Tardino a Blog Sicilia – sarebbe una partita avvincente. Spero che il presidente Lombardo, che ho avuto modo di conoscere in questi mesi nel mio ruolo di commissario regionale e nei cui confronti nutro antica stima, sarà impegnato in altro, altrimenti vorrà dire che parlerete di noi”.

Un testa a testa dal pronostico chiuso, almeno sulla carta, su cui Salvini rischia di scottarsi. A chi andrebbero i voti di Sammartino, se l’enfant prodige dovesse ancora essere della partita? A chi risponderà per primo al telefono? All’eurodeputata di Licata che aspira al bis, o al nemico giurato che finge di farsi andare bene? Quella leghista è una storia appassionante, con tantissime variabili e un solo jolly: il vicepresidente della Regione. Uno che non si appassiona alla maglia e che all’ultima curva può giocarti uno scherzetto. E’ accaduto in passato e potrebbe accadere ancora. Non sarebbe tradimento, ma il caro, vecchio opportunismo.