Quando si parla di Matteo Salvini, e si esclude a priori la pigrizia dell’indignazione, la via di fuga è sempre l’ironia. Come affrontare sennò l’epopea dell’assurdo di un leader ormai dedito al folklore, entusiasta e imbronciato nelle pièce diplomatiche, nel pacifismo turistico, un ambasciatore della politica da diporto incapace di imbarazzo alla scoperta – se lo ha scoperto – di avere esultato alla partenza dall’Ucraina verso la Russia di una nave riempita col saccheggio e scambiata per l’abbrivio di un appeasement commerciale? Probabilmente è pure ignaro della muta costernazione da cui è circondato nel partito, riluttante al golpe soltanto perché allevato al centralismo democratico bossiano, ma in attesa del momento adatto per liberarsi di un capo capace di raggiungere le formidabili quote del 34 per cento (Europee 2019), ma su basi programmatiche così vaporose da esalare a uno starnuto. Continua su Huffington Post