Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha davanti a sé l’immane compito di ricomporre le grandi e pericolose fratture che attraversano il popolo americano dopo quattro anni di forsennata azione politica di Trump, volta a dividere e a provocare lo scontro.

In un’America in crisi e in alcuni suoi settori disgregata tra classi sociali diverse, con diversi livelli di cultura e di reddito, con marcate differenze salariali e con la condizione di gran parte delle donne e degli uomini di colore ancora ai margini della società, in un’America attaccata, come e più del resto del mondo, dalla pandemia, Trump ha utilizzato la predicazione dell’odio, l’esaltazione del sovranismo, del suprematismo bianco, del conflitto razziale, dell’uso della violenza e l’innalzamento delle barriere per impedire l’ingresso nel Paese di disperati provenienti dal Centro America, per avere consenso così tradendo la storia di una nazione nata e resa prospera dall’accoglienza, dall’integrazione di popoli diversi e ritenuta da molto tempo un modello di democrazia nel mondo. Non sarà facile, come i più autorevoli commentatori sostengono, sanare le ferite inferte al corpo della nazione da un irresponsabile che l’ha governata, lacerandola e portandola al limite dello scontro armato. In questa situazione avrebbe potuto farsi strada la tentazione di lisciare il pelo, come si dice, ai tanti cittadini pacifici, sedotti dal messaggio di Trump, di tranquillizzare quella che si chiama l’“America profonda”, accantonando alcuni dei punti essenziali del programma elettorale del nuovo presidente in attesa che si delle condizioni per riproporli e realizzarli. Si poteva immaginare, come ama dirsi, che Biden volesse inseguire gli elettori di Trump, allettandoli con messaggi edulcorati e sbiaditi. Il nuovo presidente, con coerenza e intelligenza politica, ha annunciato, invece, di volere, già nei primi giorni della sua presenza alla Casa Bianca, smantellare l’impalcatura del trumpismo.

Gli Stati Uniti rientreranno negli accordi di Parigi per la lotta ai mutamenti climatici e nell’Organizzazione mondiale della Sanità, cancelleranno la messa al bando di alcuni Paesi musulmani, bloccheranno gli sfratti, e aiuteranno gli studenti bisognosi a pagare i prestiti ottenuti, consentiranno la riunificazione dei figli minorenni con i genitori immigrati clandestinamente, renderanno obbligatorio l’uso delle mascherine, sanando il forsennato scontro tra la scienza e la follia comunicativa della precedente amministrazione sulla pandemia.

La fedeltà ai valori conclamati, il rispetto della parola data agli elettori, l’affermazione della propria identità politica senza camuffamenti e trasformismi intendono caratterizzare l’inizio della nuova amministrazione americana e segnare il discrimine tra una politica progressista, il sovranismo e il populismo.

Dall’America vengono così importanti segnali al resto del mondo, all’Europa e all’Italia. Il campo del centro sinistra italiano dovrebbe cogliere quei segnali di coerenza e di coraggio per riflettere sugli errori compiuti negli anni passati e ancora recentemente con l’obiettivo di inseguire gli elettori, camuffando e tradendo i propri principi, immaginando di battere la destra sul suo stesso terreno.

I risultati di questi “inseguimenti” sono stati sempre disastrosi e in diverse circostanze si è venduto un pezzo della propria anima per non guadagnare nulla. A partire dalla fine degli anni novanta, la sinistra in Italia ha ritenuto di riconquistare consensi vestendo i panni della destra e blandendola con l’attuazione di programmi che ad essa erano congeniali.

La modifica del titolo V della Costituzione che trasferì notevoli funzioni politico- amministrative alle Regioni, venne proposta e portata avanti da una maggioranza di centro sinistra con l’idea di cogliere, governare e insieme attutire le spinte federaliste e secessioniste del Nord e di riprendere una parte degli elettori di Bossi, “costola della sinistra”, come lo aveva definito D’Alema.

La cessione di poteri essenziali da parte dello Stato, determinò la frammentazione del Paese e lo sconquasso dell’impalcatura costituzionale. In termini più generali, quella scelta diede una notevole spinta all’accentuazione del divario economico e della qualità dei servizi essenziali tra le diverse parti d’Italia, creò una enorme confusione giuridica e un costante conflitto tra i diversi livelli istituzionali. In questo periodo di pandemia, poi, sul versante della sanità e dei trasporti, in particolare, si è visto il totale fallimento di quella riforma. Se, poi, si volevano riconquistare i voti, nel 2001, proprio dopo la riforma stessa, la destra stravinse con il 49,56% a fronte del 34,9 dell’Ulivo. Più recentemente, nel corso della precedente legislatura, a poco meno di un anno dalla sua scadenza e dalle nuove elezioni, il governo guidato da Gentiloni e la maggioranza di centro sinistra che lo sosteneva ritennero di regolare i flussi migratori con provvedimenti che, per alcuni aspetti, peggiorarono la situazione esistente, ignorarono la tragica condizione dei migranti nei lager libici, accentuarono i pericoli dell’attraversamento del Mediterraneo, ignorarono la necessità di istituire canali umanitari per gli immigrati, previdero poco o nulla per accogliere e integrare quanti erano in Italia da irregolari. Quella stessa maggioranza mise la sordina allo ius soli, ad un provvedimento con il quale si doveva riconoscere ai giovani nati nel nostro Paese e che qui avevano studiato e vivevano, il sacrosanto diritto alla cittadinanza e, con essa, i diritti e i doveri di autentici cittadini. Quel tipo di scelte era ispirato alla miope logica di sottrarre armi alla destra di Salvini che indicava l’immigrazione come un enorme pericolo per la sicurezza dei cittadini e al Movimento 5 Stelle che lo inseguiva sullo stesso terreno. La Lega e i 5 Stelle vinsero le elezioni a valanga. Un po’ più recentemente, invocando sempre il cosiddetto realismo e un malinteso senso di responsabilità, il PD ha finito per assecondare i grillini nel progetto di riduzione del numero dei parlamentari con la promessa di riforme che avrebbero attenuato l’attacco sconsiderato al potere legislativo, compiendo un passo avanti sulla strada del suo svuotamento, della sua banalizzazione e dell’affermazione dell’antipolitica. Anche questa volta il “ritorno”, quello cioè delle altre riforme necessarie per rattoppare in parte lo strappo, è ancora da venire.

Alla fine risultano confermate due considerazioni che dovrebbero essere quasi elementari: tra l’imitazione e l’originale la gente sceglie l’originale, tra una destra verace, armata di pochi, comprensibili ed efficaci slogan e una sinistra che tenta di farle concorrenza sul suo stesso terreno, vince la destra verace. Quando si dimentica o si tradisce del tutto l’etica dei valori, direbbe Max Weber, non è detto che vinca l’etica della responsabilità. Si perde l’anima e non si guadagnano consensi. Ancora in queste ore si rischia che possa avvenire un fenomeno analogo, inseguendo i “costruttori”, forse un male necessario nella condizione in cui è stato messo il Paese dalla scelta di Renzi, senza avere il progetto dell’edificio da realizzare e forse neppure il terreno sul quale farlo sorgere.

Da Biden, dalla sua coerenza, il campo progressista ha molto da imparare.

(Calogero Pumilia è stato deputato della Democrazia Cristiana ed è autore del libro “La caduta”’ edito da Rubbettino e da pochi giorni in libreria)