Delle due dimensioni della guerra della monnezza, la più preoccupante è quella che si combatte fra i vicoli di Palermo. Nei quartieri centrali e periferici dove l’aria ha ripreso a puzzare. Anche di notte, per via degli incendi che vengono appiccati dai residenti esasperati. Qualcuno, per via dei cumuli dei rifiuti, non riesce a oltrepassare il portone di casa. Molti quartieri, da Borgo Vecchio a Tommaso Natale a Brancaccio, ma anche le mete turistiche più rinomate (Mondello e Vergine Maria) risultano intasati. Marciapiedi stracolmi, che impediscono ai bobcats della Rap, la società che gestisce raccolta e smaltimento, di muoversi agevolmente. Qualche giorno fa una signora ha ammesso di aver lanciato per strada alcuni sacchi della spazzatura e materiali ingombranti in legno, a due passi da palazzo Abatellis: “Ho chiamato la Rap ma non passa mai nessuno”. In alcuni quartieri, come a Boccadifalco, non vedono gli operatori da un mese. In via Papa Pio XI c’è gente pronta a giurare che “ai topi e ai gabbiani si sono aggiunti i cinghiali che scendono da Monte Pellegrino in cerca di cibo e non si vede uno spazzino da anni”. I 200 vigili in borghese, una task force creata da Orlando attraverso la polizia municipale, non funziona granché. Ha elevato una quantità di verbali irrisoria, costringendo il sindaco ad ammettere il flop e riprogrammare tutto, con le nuove nomine dirigenziali. Un putiferio.

L’altra dimensione, invece, porta ai palazzi della politica. Negli ultimi giorni sono stati resi noti dall’assessore regionale all’Energia, Alberto Pierobon, i dati della raccolta differenziata. L’hanno fatto sorridere: la percentuale accertata è del 31,4%, con un conferimento di 500 mila tonnellate in meno di rifiuti indifferenziati. Un passo avanti rispetto al 2017, quando si aggirava intorno al 22. E’, comunque, meno della metà di quanto previsto dalla Legge (il 65%). Nel primo quadrimestre del 2019 – i dati aggiornati verranno comunicati in settimana – la Sicilia farà segnare un più che modesto 38%, con le città metropolitane relegate in fondo alla classifica parziale: Palermo intorno al 19, Catania addirittura al 12, Messina al 18. Sono loro che producono un terzo dei rifiuti di tutta l’Isola, influenzano la classifica e rendono poco nobile il quadro complessivo.

E mentre in aula, all’Ars, si attende il disegno di legge di riforma del settore – rappresenta una delle sfide più importanti del governo Musumeci nell’arco di questa prima parte di legislatura, è appena approdato in commissione, dove i grillini si sono astenuti – la discarica di Bellolampo, che serve Palermo e provincia, è ancora satura. Sarebbe strano il contrario. Poche ore e la sesta vasca sarà piena, inservibile. Mentre la settima, che la Regione in tempi di crisi – della monnezza, s’intende – s’era impegnata a realizzare, è ancora in fase di progettazione: non è stata bandita la gara, in attesa di pareri che non arrivano mai (una società sta esaminando il progetto ha già inviato 140 osservazioni da “sanare”). E comunque, ammesso che in autunno comincino i lavori, serviranno 14 mesi per completarli, 6 per cominciare a conferire i rifiuti. In tempo per la prossima emergenza.

Così, dato che a Bellolampo non c’entra più niente, e Palermo è costretta a smaltire in fretta, la Regione ha trovato una soluzione dell’ultimo minuto. Mica una roba avveniristica, ma buona per aggirare l’ostacolo. Con un decreto firmato dal dirigente del Dipartimento Acqua e Rifiuti, Salvo Cocina, si è autorizzata la Rap a conferire fino a 240 mila tonnellate di rifiuti fra le discariche di Lentini, Motta Sant’Anastasia-Misterbianco e Siculiana, sul versante est dell’Isola. Questa situazione durerà almeno fino a dicembre. La “stazione” più vicina, Lentini, si trova a 200 chilometri di distanza ed è gestita dalla società Sicula trasporti, mentre a Motta Sant’Anastasia (Catania) c’è la Oikos, la ditta della famiglia Proto che vorrebbe realizzare un’altra discarica a Centuripe, nell’Ennese. Ma già l’impianto di Motta, secondo il sindaco di Misterbianco, non è a norma: “Andrebbe chiusa perché ha il certificato ambientale scaduto. Smaltiamo già 450 tonnellate al giorno, ora ne arriveranno 500 solo da Palermo, è una lotta”. L’ultima, quella di Siculiana (Agrigento), è nelle mani di Giuseppe Catanzaro, ex membro di Sicindustria, da sempre in rotta di collisione con Orlando che ha denunciato “un sistema affaristico che ruota attorno ai rifiuti”.

Discariche al 100% private. Un fatto che ha fatto cadere dalla sedia Claudio Fava, deputato dei Cento Passi e presidente della commissione regionale Antimafia. Fava si è scagliato contro la scelta di Musumeci di acconsentire a una soluzione del genere che fra l’altro, stime alla mano, costerà qualcosa come 9,6 milioni di euro (il costo di smaltimento si aggira sulle 40 euro a tonnellata più eventuali differenze tra la cifra che il Comune paga a Rap e i costi delle discariche private): “Nel giorno in cui il governo regionale dà fiato alle trombe per dirci che il conferimento in discarica è diminuito e che è aumentato il ruolo degli impianti pubblici, apprendiamo che mille tonnellate al giorno d’immondizia e altri dieci milioni di euro verranno dati dalla Regione ai soliti padroni dei rifiuti”. Lo squillo di trombe a cui fa riferimento Fava, di cui ha dato conto l’assessore Pierobon, è che l’incidenza di impiantistica pubblica nel sistema delle discariche siciliane è pari al 31,64% rispetto all’8,15% di un anno fa. Ma i privati resistono al 68%.

“Un’altra significativa vittoria politica del presidente Musumeci – sostiene, polemicamente, Fava – che, dopo due anni di annunci e di grancassa, continua a ricorrere alle discariche private per l’ordinaria amministrazione e per l’emergenza, esattamente come il suo predecessore Crocetta”. Fava ricorda quanto dichiarava proprio Musumeci tre anni fa: ‘Dobbiamo purtroppo constatare che nelle stanze dei bottoni si continua a vivere alla giornata, continuando a privilegiare l’abbancamento dei rifiuti in discarica. Diciamo basta alla burocrazia delle ordinanze ed alle politiche dell’ultimo secondo, adesso è giunto il momento delle azioni concrete e programmate o, in alternativa, delle dimissioni immediate per togliere il disturbo’. Parole sante – commenta il presidente dell’Antimafia – che Musumeci oggi dovrebbe trovare il coraggio di rivolgere a se stesso: azioni concrete o tolga il disturbo”.

Non ci pensa nemmeno il governatore, che aspetta di vedere il disegno di legge sui rifiuti approdare a Sala d’Ercole. Ma prima occorre chiudere la discussione e il voto sul “collegato”, tuttora impantanato. Non è improbabile, affatto, che della riforma si torni a parlare dopo l’estate. Nel frattempo il suo governo ha avviato la bonifica di parte delle 511 discariche dismesse (si parte da Mazzarrà Sant’Andrea, nel Messinese, e si chiuderà con Pozzo Bollente, a Vittoria). E confida sul Piano dei rifiuti, che recepisce quattro direttive dell’Unione Europa, ma qualche mese fa ottenne la stroncatura del governo centrale, e dal ministro grillino Sergio Costa. Il quale, fra le priorità, indicava la necessità di realizzare degli inceneritori (“Si rivela l’assoluta necessità di localizzare in Sicilia almeno due o più impianti di incenerimento di capacità pari al fabbisogno” si leggeva nelle quaranta pagine di controdeduzioni). Poi si accorse che andava contro i principi dei Cinque Stelle e fece un passo indietro: “E’ stato scritto dai tecnici, io sono contro i termovalorizzatori”.

I due provvedimenti – legge sui rifiuti e Piano dei rifiuti – secondo Giampiero Trizzino, membro del M5S in commissione Ambiente, sono legati: “Come si spezza il circolo vizioso per il quale il Piano non può essere approvato se non c’è la legge e questa non può nascere se il piano non è pronto?”.   Provi, onorevole, a rivolgere questa domanda marzulliana a un palermitano incavolato. La risposta non sarà piacevole. “Esiste una nota interna del Ministro dell’Ambiente – ha aggiunto Trizzino – che chiede esplicitamente di non rilasciare più indicazioni sulla possibilità di inceneritori. Noi siamo contrari”. Ma senza inceneritori restano le discariche. O la differenziata, i cui numeri – checché ne dica la politica – rimangono impietosi.