Quelli di Fratelli d’Italia già puntano a “un celere e costruttivo confronto in Prima commissione” per migliorare il testo sulla reintroduzione delle province, appena presentato da Schifani. Inoltre, scrivono un atto d’indirizzo per impegnare il governo e l’assessore Volo – criticata aspramente nei giorni scorsi – per stabilizzare il personale delle Asp, con una contestuale revisione delle dotazioni organiche per consentire l’ingresso a più figure possibili. Non si può certo dire che i patrioti non abbiano le idee chiare. Ma il confine tra proposte e pretese, in questi mesi, è stato assai labile. A garantire al partito della Meloni un’aura di onnipotenza, ha contribuito la vittoria di settembre nelle urne, dove Giorgia è stata incoronata premier. La prima donna nella storia. Anche se nell’Isola le dinamiche sono state condizionate da altri fattori, che poco hanno a che fare col voto d’opinione.

Un clamoroso, e involontario, regalo alle velleità di Fratelli d’Italia è giunto da Gianfranco Micciché e dalla volontà di scagliarsi, l’estate scorsa, contro la conferma di Nello Musumeci a Palazzo d’Orleans. “Contro di lui vincerebbe anche un gatto”, è stata la scommessa del commissario di Forza Italia, che in asse con la Lega di Salvini ha sfilato al nemico Nello il secondo pass per la presidenza. E’ stato l’inizio di tutto. Dell’isolamento di Miccichè da un lato; del dominio della scena politica di Fratelli d’Italia dall’altro. I patrioti non hanno mollato neppure le briciole. Il primo atto di supremazia è giunto alla vigilia di Ferragosto, quando Ignazio La Russa, che prima di diventare presidente del Senato è stato anche l’emissario di Meloni per le questioni sicule, ha selezionato da una rosa di nomi offerti da Forza Italia, quello del “morbidissimo” Renato Schifani. Che di quella rosa, a sentire i bene informati, non faceva parte.

Schifani è risultato il miglior compromesso possibile, e nei mesi a venire s’è capito perché. Non ha opposto resistenza alla nomina di Elena Pagana e Francesco Scarpinato, due ‘pedine’ calate da Roma nei giorni della formazione della giunta. Arrivando a tradire persino se stesso: il presidente aveva annunciato, come condizione necessaria e sufficiente, che i suoi assessori fossero deputati eletti. E invece né Pagana né Scarpinato lo erano. In seguito alle note vicende di Cannes, che ha creato le prime crepe nel rapporto con il primo partito della maggioranza, Schifani ha dovuto chinare il capo per la seconda volta: dopo gli insulti sferrati da Manlio Messina al suo indirizzo (il chiarimento richiesto dagli alleati, ovviamente, non è mai arrivato), infatti, l’ex inquilino di Palazzo Giustiniani non è neppure riuscito a rimuovere Scarpinato dalla sua squadra di governo. Ha dovuto sorbirsi l’ennesima ingerenza romana, con cui si è disposto lo scambio di deleghe con Elvira Amata.

E’ stata questa, solo questa, la proposta di risoluzione dopo i fattacci della mostra “Sicily, Women and Cinema”, e della figura barbina che qualcuno – all’assessorato al Turismo – ha confezionato. Prima elaborando una proposta milionaria ad hoc per una società con sede in Lussemburgo (senza un bando); poi facendo a gara per ritirare il provvedimento in autotutela, quando erano già scattate le inchieste della Corte dei Conti e della Procura di Palermo. Che per altro si allargano all’allegra gestione dell’intero portafogli di via Notarbartolo, culminato con una serie di investimenti “spendi e spandi” che sono, tuttora, nel mirino dei magistrati. Qualcuno pagherà solo se sarà la giustizia a imporlo. Ma sotto il profilo politico, finora, tutti l’hanno fatta franca. Specie quelli di Fratelli d’Italia, che per cinque anni, nel corso della gestione Musumeci, hanno riempito la Regione di mance e di sprechi, lucidando i bilanci dei vari Cairo e Berlusconi. Così son bravi tutti.

In questi mesi alla Regione, senza colpo ferire, Fratelli d’Italia s’è presa la poltrona più ambita dell’Assemblea regionale, piazzandoci a capo Gaetano Galvagno, enfant prodige della politica etnea e legatissimo a Ignazio La Russa; hanno conquistato le commissioni Bilancio e Lavoro con i deputati Dario Daidone e Fabrizio Ferrara; hanno controllato le sorti della Foss (manca sempre l’ultimo passettino per la nascita del nuovo Cda) e della Sicilia Film Commission con Nicola Tarantino, il fedelissimo del Balilla; hanno ottenuto la conferma del 28-29 maggio come data per le Elezioni Amministrative (che Schifani avrebbe voluto allineare al resto d’Italia); e stanno dando un imprinting ben preciso anche ai lavori d’aula, con alcune proposte che rischiano di segnare le sorti della legislatura e del rapporto col governatore. Solo su una cosa non sono riusciti a rimediare, nonostante le strigliate romane: l’aumento da 900 euro alle indennità dei parlamentari (ma in quel caso si piange da un occhio).

Una delle cose per cui si batteranno con ardore è l’introduzione del terzo mandato per i sindaci dei comuni con meno di 15 mila abitanti, per dare la possibilità ad alcuni fedelissimi di strappare, ove possibile, una riconferma (ad esempio al deputato Nicolò Catania, primo cittadino di Partanna): “È utile ricordare che questa proposta legislativa non è improvvisata all’ultimo momento, ma è sollecitata da anni dall’Anci e già nella scorsa legislatura venne approvata in Commissione”, ha detto il capogruppo di FdI all’Ars, Giorgio Assenza, svincolandosi dalle polemiche. Schifani la considera una proposta a rischio impugnativa, ma se la sua resistenza sarà pari a quella dei primi mesi di convivenza, i meloniani avranno vita facile anche stavolta.

Ovviamente il capitolo più spinoso riguarda la scelta del candidato sindaco a Catania, dove ci sono in ballo Razza e la leghista Sudano. Ma anche Siracusa, dove la tenuta del centrodestra vacilla. Mentre a Ragusa FdI ha già timbrato una candidatura di bandiera – quella dell’attore Pasquale Spadola – contro l’uscente Cassì, sostenuto nella scorsa campagna elettorale. Fratelli d’Italia ha deciso di dare le carte. Di imporre la legge del consenso (non del più bravo). Di intestarsi i meriti e di ringhiare contro (quando serve). E’ avvenuto recentemente sulla Sanità, quando di fronte allo sconquasso sulle proroghe ai precari, da Roma si è sollevata la solita vocina. La delegazione dei patrioti siciliani alla Camera e al Senato, infatti, hanno dato addosso all’assessore Volo: “Non comprendiamo la decisione di sospendere tutte le procedure per una possibile assunzione e stabilizzazione del personale amministrativo Covid”. Schifani non ha pronunciato una sola parola per difenderla. Poi la decisione di allargare le maglie del “mantenimento in servizio” anche per il personale amministrativo che non fosse in esubero rispetto alle dotazioni organiche. Peccato che l’assessore, per assecondare le richieste dall’alto, adesso sarà costretta a ridiscutere con le Asp un taglio da 120 milioni alla spesa.

Il punto è che ai patrioti, in nome della loro onnipotenza, tutto è concesso. Fratelli d’Italia non ha oppositori esterni, tanto meno interni. Le uniche voci in dissenso, quelle che si erano espresse contro la ricandidatura di Musumeci, sono state silenziate per tempo (vedi Stancanelli). E persino i deputati amareggiati dalle manovrine romane sulla giunta di governo, sono stati “ricompensati” in qualche modo. Sull’autobus c’è spazio per tutti, e ad essere rimpiazzati è un attimo.