Da “quasi moglie” di Silvio Berlusconi, Marta Fascina è diventata la sua principale consigliera. E ci manca poco che non venga promossa capocorrente dei “governisti” di Forza Italia. Ma c’è di più: la deputata campana, eletta nel collegio uninominale di Marsala, è anche l’ispiratrice della detronizzazione di Licia Ronzulli, storica collaboratrice di Berlusconi, uscita un po’ ammaccata (assieme al vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè) dalle ultime piroette azzurre: Meloni sì, Meloni no. Ma il punto è un altro: con questo physique du role, che l’ha consacrata dirigente d’alto rango e presenza autorevole, Fascina potrebbe ambire a un ruolo da protagonista per determinare la posizione del partito alle prossime Amministrative di Trapani dove FI finirà per sostenere un candidato ‘patriota’.

Invece, stando ai bene informati, l’ex soubrette da quelle parti non s’è mai vista. E non s’era mai vista nemmeno alla vigilia della campagna elettorale. La sua elezione è maturata per la benevolenza del vecchio leader, che ha avuto l’ardire e l’ardore di piazzarla in un collegio blindato, inespugnabile per la sinistra e i Cinque Stelle. “La mia candidatura nel collegio uninominale di Marsala – aveva spiegato la compagna del Cav. prima delle Politiche, in una rara intervista a ‘Libero’ – è stata una decisione del partito condivisa con il nostro instancabile coordinatore Gianfranco Micciché, una decisione che ho accettato con entusiasmo e orgoglio. La Sicilia è una regione meravigliosa, che conosco fin dai tempi in cui, da piccola, mio padre mi ci portava in vacanza”.

Sarà bastata una gita in barca lungo la costa occidentale, al largo di Scopello e della Riserva dello Zingaro, per lasciare il segno. Fascina è stata eletta con quasi 60 mila voti e a Marsala non ha mai messo piede. Non che in Parlamento la sua presenza sia così rilevante (non si vede praticamente mai). Il ruolo della giovane deputata si svolge prevalentemente ad Arcore e al fianco di Berlusconi, quando l’ex premier si avventura per qualche motivo (elettorale o calcistico) fuori dalla residenza di famiglia. Avrebbe potuto dare una mano all’ “instancabile coordinatore Micciché” per tenersi la guida del partito, o avrebbe potuto fare da pungolo a Schifani, il nuovo reggente azzurro, per evitare si svendere la Sicilia firmando la proposta Calderoli sull’autonomia differenziata. Nel suo piccolo poteva tornare molto utile. Invece no: ha rinunciato in partenza per assolvere ai propri impegni coniugali, privando la Sicilia di una fetta di rappresentanza parlamentare. Fosse l’unica…

Anche Stefania Craxi, eletta al Senato nel collegio uninominale di Gela, non mette piede nell’Isola da un bel po’. L’ha fatto l’estate scorsa, incontrando alcune istituzioni locali (per raccattare qualche voto) e rendendosi protagonista di un testa a testa (a distanza) con il fratello Bobo, candidato a Palermo col Pd. E’ stata una simpatica storiella di rivalità familiare, null’altro. Tra convegni e apparizioni televisive, della senatrice si sono perse le tracce: “Ho dato disponibilità a battermi in un collegio da combattimento – avvertiva il figlio maschio di Bettino -, a differenza di mia sorella che ha un ombrellone in Sicilia e un paracadute in Lombardia”. Presagi. Le belle parole della vigilia, le solite (“E’ un grande onore spendermi per la Sicilia, la terra in cui si ritrovano le radici della mia famiglia”), sono invecchiate malissimo. Senza neppure l’omaggio di una capatina ogni tanto.

Ne sa qualcosa la collega Michela Vittoria Brambilla, un’altra presenza poco assidua nell’Isola (a voler usare un eufemismo) e in aula. Anche lei “gelese d’adozione”, approdata alla Camera passando da un collegio blindato; anche lei poco riconoscente nei confronti di un elettorato che l’ha premiata con 43 mila preferenze (pur non sapendo se rappresentasse Forza Italia o la Meloni). A parte occuparsi di amici a quattro zampe, su Rete 4, non si sa bene cosa faccia. L’ultima battaglia, sponsorizzata sui social, per la tutela dell’orso del Trentino. Si dice che persino i cinghiali delle Madonie siano rimasti offesi per tanto snobismo.

Pure il Partito Democratico ha pescato fuori dai confini siculi. Anna Maria Furlan, ligure ed ex segretaria della Cisl, è stata eletta nel plurinominale di Palermo. La sua presenza da capolista, per altro, aveva provocato il ritiro di Antonello Cracolici – lui sì, palermitano – e l’apertura di un caso spinoso fra i dem. A differenza delle colleghe citate in precedenza, la Furlan ogni tanto ricompare: come il 24 febbraio scorso, in occasione della marcia contro la mafia organizzata dal Centro Pio La Torre. Ma come altri suoi colleghi esimi (a partire da Antonio Nicita, siciliano solo di nascita, anch’egli in quota Pd) non tocca palla nelle questioni che riguardano la Sicilia. Hanno solo guadagnato un posto in prima fila sull’autobus più fortunato. Hanno messo radici per i pochi sprazzi di campagna elettorale che li ha costretti in questa terra così arsa e lontana da Roma. Poi hanno trovato rifugio altrove, al riparo da critiche e decisioni, da proposte e iniziative che giustificassero il loro impegno e garantissero un valore aggiunto al proprio collegio elettorale. Nada.

I paracadutati non hanno voce in capitolo sulle alleanze (“Perché, si vota anche a Catania?”); non offrono soluzioni ai mille problemi dell’Isola; non si adoperano per favorire un collegamento tra i governi regionale e nazionale; non correggono i comportamenti poco decorosi della classe politica locale. Non spezzano una lancia per niente e per nessuno. Semplicemente hanno usufruito di un passaggio. E adesso si godono il viaggio.