Agli stupri brutali di cui s’è letto in questi giorni, si sono proposte contromisure brutali: la castrazione chimica di tradizionale tendenza leghista, l’asportazione dell’immondo pene suggerita da Emma Dante (e poi derubricata a provocazione: parola magica, provocazione, quando la si è sparata grossa), l’occhio per occhio augurato ai violentatori da Ermal Meta secondo i codici di vendetta della criminalità albanese. In una disposizione d’animo meno aggressiva, la ministra Eugenia Roccella – sostenuta dal parere qualificato di Rocco Siffredi – si è domandata se non sia il caso di proibire ai minorenni l’accesso ai siti pornografici.

L’idea di Roccella non è così eccentrica: se ne discute ovunque e da tempo, non ignari che l’equazione meno porno uguale meno stupri è un po’ consolatrice perché ingiustificata dalle ricerche scientifiche. Comunque, ci si potrebbe provare, se ci si tiene. Quando eravamo ragazzi noi, ancora esclusi dal magico mondo del web, l’acquisto di riviste pornografiche ci era vietato per legge. Ma poi ce le sapevamo procurare grazie a qualche fratello maggiore di qualche compagne di classe, o a un fiorente mercato nero di sbarbatelli, sinché ne possedevamo una quantità sufficiente da avviare un diffuso baratto. Già allora ci era chiaro quanto fosse inefficace e quindi sciocco il proibizionismo.

Come si possa pensare di riproporlo oggi, dentro le praterie selvagge di internet, quando non si poté presidiare le edicole, mi è misterioso. Sappiamo che il pianeta dei minorenni fa giurisdizione a parte, secondo i presupposti di una libertà ridotta e condizionata, ma sappiamo anche che se un minorenne se vuole bere beve (prima dei sedici non gli è consentito), se vuole fumare fuma, e non saranno mai i diktat degli adulti a creargli imbarazzi.

L’idea della castrazione chimica è altrettanto emotiva, altrettanto inutile e probabilmente incostituzionale (è un guaio questa Costituzione sempre in disaccordo con i rimedi miracolosi del nostro dibattito pubblico e politico). Primo, se castri chimicamente uno stupratore, gli aggiungi una pena corporale alla detenzione, ed eccola la palese incostituzionalità (e inutilità: è già in galera e fuori gioco). Se la castrazione è alternativa al carcere, si ribalta la struttura della Costituzione – sto citando Nordio quando era Nordio – secondo cui la pena ha funzioni preventive, rieducative e retributive; la prevenzione si intuisce, diceva Nordio, ma la rieducazione e la retribuzione no: corrisponde al taglio della mano per il ladro. C’è un ulteriore problema: la castrazione dovrebbe essere temporanea o definitiva? Nel primo caso, concluso l’effetto temporaneo, lo stupratore si ritroverebbe con le medesime pulsioni e la medesima aggressività; nel secondo, si ripiomberebbe di nuovo nella legge del taglione. Un salto indietro di un paio abbondante di millenni.

Tocca poi aggiungere un’ultima considerazione: se reputiamo la violenza sessuale un’emergenza (i reati sessuali sono fra i pochissimi in aumento, e forse perché ora li si denunciano di più, ma non lo possiamo dire con certezza), la castrazione chimica non la risolve perché si applica a stupratori già conclamati e non previene nulla. Eccolo uno sfolgorante esempio di panpenalismo: delegare la soluzione di guasti sociali al codice penale. E siccome non funziona, poi saltano su le Emma Dante e gli Ermal Meta a rilanciare come giocatori di poker: tagliare via l’immondo pene, affidare il branco a un banco più branco. Il punto d’approdo di una simile rotta, lo ha intuito la sempre bravissima Chiara Lalli, è la pena di morte.

Dunque, che fare? Non lo so. Si sono lette molte brillanti analisi di psichiatri, psicoterapeuti, sociologi, educatori, e nessuna aveva l’aria di chiudere la faccenda, ma perlomeno contenevano il pregio di non partire dall’esigenza di vendetta. Non avere risposte – e qui la pongo in modo particolarmente banale – è il primo passo per cercarne una, senza cedere alla tentazione sbrigativa di rispondere con la violenza alla violenza. Non è da paese democratico e civile, è la sharia. Che è già arrivata nei nostri cuori prima che nei nostri paesi.