Tutto sommato, in Sicilia, l’emergenza sanitaria appare sotto controllo. Lo ha detto l’assessore Ruggero Razza, che ieri ha rappresentato la situazione attuale a un parlamento siciliano quasi deserto. E ha fornito alcuni dati: l’incremento dei posti di terapia intensiva (diventeranno 650, ma servono le attrezzature che Roma deve ancora consegnare); i tamponi a campione per i 35 mila rientrati dal Nord; e la risposta di medici (400) e infermieri (600) all’avviso pubblico della Regione. La Sicilia si sta dotando di anticorpi, e a meno di un imprevedibile collasso, non andrà in asfissia. Ma assieme all’emergenza sanitaria ne viaggia un’altra, più rapida del virus. E’ quella sociale, che si manifesta in forme molteplici. Non solo con il furto messo in piedi da una banda di balordi nei confronti di alcuni medici del Policlinico di Palermo, impegnati in prima linea (qui siamo di fronte a mera vigliaccheria).

A ingrassare la preoccupazione dei siciliani sono, ovviamente, il panico e gli effetti nefasti che la puzza di morte provoca. Il cimitero dei Rotoli di Palermo, che negli ultimi mesi è balzato agli onori delle cronache per le quattrocento bare accatastate, non è pronto a contenere l’esplosione (eventuale) della mortalità da Covid-19: la giunta comunale, per ovviare, ha stanziato 40 mila euro utili all’acquisto di una tensostruttura da posizionare all’esterno del camposanto. Da utilizzare in caso di bisogno. Sono ancora troppo fresche le immagini delle camionette dell’esercito che trasportano i feretri fuori da Bergamo, verso gli altri cimiteri del Nord Italia. Meglio attrezzarsi per tempo, nella speranza – mai come stavolta – che saranno soldi buttati.

Più in generale, Palermo è una città che ha risposto dignitosamente alla “febbre” da contagio. I 47 casi su una popolazione di 658 mila abitanti sono una discreta statistica. Evidenziano che gran parte della popolazione si è adeguata alla profilassi. Il focolaio è stato l’hotel Mercure, dove ha soggiornato a fine febbraio una comitiva di turisti bergamaschi. Ma il pericolo non è ancora scampato. In tanti, specie nella pubblica amministrazione, chiedono di poter lavorare da casa. Lo smart working coinvolge 1.500 dipendenti, ma è una corsa contro il tempo per allestire tutte le posizioni. Intanto, gli uffici dell’Anagrafe hanno chiuso al pubblico. Con un risultato: stoppare il rilascio dei documenti d’identità cartacei ed elettronici (per la rivelazione delle impronte digitali i dipendenti erano costretti a toccare la mano dei cittadini). Quelli in scadenza saranno prorogati automaticamente fino al mese di agosto.

Un altro fonte bollente è quello dei rifiuti. La raccolta va avanti a singhiozzo. La Rap, che gestisce la differenziata, ha già dovuto sospendere il lavoro dei centri comunali di raccolta (quasi tutti chiusi) e lo spazzamento delle strade per assenza di personale. Molti sono andati in ferie. Quelli che restano non sono dotati di mascherine.  Il direttore Li Causi ha ottenuto un prestito di 500 dispositivi da parte di Fincantieri: dovrebbero durare fino a domani. Nel caso in cui il fabbisogno non fosse soddisfatto, e i kit continueranno a mancare, non è escluso che la raccolta venga sospesa (con effetti tragici per una città già insozzata di suo). Si resta in attesa di una fornitura di mille pezzi ordinata da giorni. Anche alla Regione, per la verità, hanno lo stesso problema: il presidente Musumeci, in diretta tv, ha scagliato via una mascherina che faceva parte dell’ultima commessa della Protezione civile: “Questo è un panno per pulire”, ha detto. I vari distretti produttivi dell’Isola si stanno attivando per una riconversione delle fabbriche in modo da soddisfare la richiesta interna.

Tornando per un attimo a Palermo, l’emergenza “kit” attanaglia anche i vigili urbani (rimasti senza guanti) e gli operai della Reset, che si occupano di manutenzione del verde, ma anche di pulizia e diserbo. Per fortuna Orlando, allo scopo di fermare i “runner” improvvisati, ha chiuso tutti i parchi. A proposito di runner: sono tante le segnalazioni negli ultimi giorni. Un gruppo di cicloturisti russi, che non rispettavano la distanza minima di un metro, sono stati denunciati in provincia di Caltanissetta. Anche se Palermo detiene il primato dell’indisciplina: oltre 2 mila segnalazioni, solo 500 fra martedì e mercoledì. Quasi tutte per violazioni dell’articolo 650 del codice penale, che punisce chi non rispetta i provvedimenti dell’autorità per ragione di pubblica sicurezza e igiene. Al secondo posto ci sono i catanesi.

Catania è un’altra città da bollino rosso. Nella provincia etnea, infatti, si riscontra il 46% dei contagi a livello regionale. Alle dodici di ieri, i casi accertati erano 131. E la popolazione è di gran lunga inferiore rispetto a quella di Palermo (appena 312 mila abitanti). Il primo focolaio del Covid-19 è stato il dipartimento di Agraria dell’università. Tre professori rientrati da un convegno in Friuli hanno contagiato gli altri. La “curva” anomala non si è più arrestata. Il professor Bruno Cacopardo, primario del reparto di Malattie infettive all’ospedale Garibaldi, l’ha spiegata più o meno così: “Un’evenienza sfortunata che si somma ad altri fattori – ha detto a Repubblica – L’aeroporto di Catania è il maggiore della Sicilia e drena voli spezzati per la Cina, in arrivo per esempio da Istanbul dove atterra un diretto con Pechino e Wuhan. La mia impressione è che a Catania il virus sia entrato prima che in altre città italiane”.

Ma che i catanesi facciano poco o nulla per evitare il contagio – oltre che dalla foto pubblicata e poi rimossa dal virologo Roberto Burioni, con tanto di polemiche – emerge anche dalle parole del professor Carlo Colloca, che insegna alla facoltà di Sociologia: “Ci potrebbe essere stata una cura minore sul piano delle profilassi, come dimostrano le immagini delle passeggiate sul lungomare di domenica scorsa. Il controllo del territorio – ha specificato ancora a Repubblica – non è stato adeguato e c’è stato un ritardo nell’applicazione delle ordinanze comunali”.

Allargando la riflessione alla Regione, ieri Miccichè, durante il suo intervento all’Ars, ha scoperto un altro nervo molto siciliano. La battaglia dei campanili. Il presidente dell’assemblea ha fatto un richiamo ai cittadini dei comuni che si apprestano a veder sorgere, nella propria area di competenza, i cosiddetti Covid Hospital. Si tratta di strutture già esistenti che saranno utilizzate per i malati di Coronavirus. E basta: “Voglio lanciare un appello a tutti i cittadini e operatori sanitari di quei Comuni: chiedo a tutti di accogliere con benevolenza questa proposta. Una scelta del genere – ha aggiunto Micciché – potrà rivelarsi vincente per il futuro di questi stessi ospedali, perché saranno dotati di tutti i sistemi di sicurezza che la tecnologia mette a disposizione. Questo è un momento in cui tutti facciamo sacrifici. Pertanto è opportuno che la decisione venga accolta con cristiana disponibilità da quei Comuni nei cui territori ricadono gli ospedali destinati alla lotta contro il Covid-19”.

Avrebbe potuto aggiungere: tranquilli, restando a debita distanza, e non uscendo di casa, non vi infetterete. Gli ospedali per le cure contro il Covid-19 sorgeranno nei prossimi giorni a Partinico, nel Palermitano (qui i cittadini e il personale sanitaria ha già presidiato il nosocomio in segno di protesta); una palazzina dell’ex ospedale “Vittorio Emanuele” di Catania e il “Gravina” di Caltagirone nella provincia etnea; un’ala del Policlinico “Martino” di Messina e il “Cutroni Zodda” di Barcellona Pozzo di Gotto nel Messinese; parte dell’”Umberto I” di Enna; il “Maggiore” di Modica in provincia di Ragusa; un piano dell’”Umberto I” di Siracusa. Non se ne escludono degli altri.

Anche i sindaci in queste ore di preoccupazione sono in trincea. Alcuni, come Orlando a Palermo, si sono limitati alla chiusura dei parchi. Altri, come Pogliese a Catania, hanno imposto i doppi turni per la polizia municipale. A Messina, Cateno De Luca ha sospeso i gratta e vinci per limitare le visite ai tabacchi. E ha emanato ieri sera un’ordinanza anti-passeggio per impedire l’attività sportiva all’aperto (prevista però dal dpcm). Qualcun altro fa gli sguazzi sui social – il sindaco di Delia, un paesino in provincia di Caltanissetta – è rimbalzato sui media di tutta Italia per la sfuriata contro i suoi concittadini. Tutti si adeguano a un clima d’emergenza, che crea imbarazzi e – ogni tanto – margini di popolarità.

La crisi sociale, però, fra un po’ diventerà economica. Alla Regione sono già venuti i brividi per il provvedimento adottato dal governo Conte col decreto “Cura Italia”, che garantisce la cassa integrazione in deroga anche alle attività con un solo dipendente. Toccherà alle Regioni  autorizzare nuovi trattamenti per le imprese che non beneficiano delle tutele vigenti per la sospensione del lavoro o la riduzione dell’orario.

La crisi sociale, però, fra un po’ diventerà economica. Alla Regione sono già venuti i brividi per il provvedimento adottato dal governo Conte col decreto “Cura Italia”, che garantisce la cassa integrazione in deroga anche alle attività con un solo dipendente. Toccherà alle Regioni  autorizzare nuovi trattamenti per le imprese che non beneficiano delle tutele vigenti per la sospensione del lavoro o la riduzione dell’orario. Ve l’immaginate, in un periodo di magra come questa, in cui a Palermo non riescono a chiudere neppure un “bilancino”, la fila fuori dalla sede dell’assessorato al Lavoro? Anche stavolta, per non farsi trovare impreparati, servirà un miracolo.