La Sicilia cos’è? Il verde di una pala di ficodindia che si staglia, pungente, sulla gialla distesa di calura agostana. Il seducente contrasto, tra agrodolce e salmastro sulla lingua, di un piatto di pasta con le sarde. L’esplosione multicolore di un carretto siciliano che lemme lemme s’annaca, sonagliante, per le viuzze di città.

Sì, La Sicilia è tutto questo. Un grosso, abnorme cliché languidamente cullato dalle onde, posto al centro del Mare Nostrum. Come Malena a passeggio sul lungomare di Castelcutò, la Sicilia ne ha fatte girar di teste e nei secoli ha sempre fatto parlare di sé. Nel bene e nel male.

Ogni cultura ha voluto definirci attraverso la voce di un suo grande interprete: siamo stati amanti focosi, astuti gattopardi, sporchi terroni, i più grandi oppressi della storia di engelsiana memoria e persino goethieane chiavi di tutto – ah, i soliti tedeschi esagerati.

Da Omero a Diodoro Siculo, da Alexis de Tocqueville a Johann Wolfgang Goethe, da Friedrich Engels a Massimo Giletti. Sì, avete letto bene, perché Giletti, ex intrattenitore della “domenica formato famiglia”, ora feroce fustigatore dei vizi siciliani, ha coraggiosamente raccolto il testimone e dagli studi de La7 regala all’immortalità un nuovo cliché sulla Sicilia: le signorine Napoli.

Personaggi di un immaginario degno dei migliori Ciprì e Maresco, sono la nuova frontiera della sicilianità.

Altrove sarebbe stata una storia come tante, di cui nessuno si sarebbe mai interessato: la legge di mercato che condanna al fallimento un’iniziativa imprenditoriale perdente. Ma in Sicilia, grazie alla benevolenza di un deus ex machina avvolto nelle nebbie della mafiosaggine, viene fuori un copione perfetto. Un mix scoppiettante di vittimismo sullo sfondo dell’apocalittica campagna siciliana, quella violenta, mafiosa e omertosa. E una regia – quella di Giletti – da premio Oscar.