Cominciamo dagli aspetti più evidenti, quelli che riferiscono tutti. Una donna di 38 anni è la nuova segretaria del Partito democratico. L’hanno voluto gli elettori delle primarie, smentendo tutti i pronostici e sovvertendo i risultati dei circoli.

Già questo dà il segno di un voto non orientato dai dirigenti, dalle correnti organizzate come, almeno in parte, può essere avvenuto per quello degli iscritti. Il risultato indica così una certa frattura tra i militanti e la più vasta platea dei cittadini che si sono recati ai gazebo, un modo diverso di vedere il partito, una domanda di partecipazione inespressa e ignorata da tempo.

Questi cittadini, ad una proposta di rinnovamento dentro uno schema tradizionale, ne hanno preferito una molto più chiara ed evidente, hanno posto l’esigenza di una svolta, di una discontinuità. Una delle questioni sulle quali si è dibattuto nel corso di questo lungo, estenuante, barocco congresso è stata quella dell’identità della maggiore forza politica di sinistra, e gli elettori ne hanno voluto una radicale, con tutti i rischi che comporta ma con il pregio di essere netta e visibile, rompendo con una vocazione in qualche modo moderata e con la propensione governista. All’et et hanno preferito l’aut aut. Piuttosto che Bonaccini, con la sua storia di ex comunista e la sua esperienza di ottimo amministratore, la maggioranza di chi ha votato domenica ha scelto una donna giovane, che nel suo bagaglio non ha antichi riferimenti ideologici né rassicurante perizia ma lo slancio avventuroso di una novità e il forte aggancio a cultura, valori e diritti propri del nostro tempo, che incrociano in modo particolare la sensibilità dei giovani.

La partecipazione di un milione di cittadini al voto ha smentito il lugubre, costante tocco delle campane che annunciavano, speravano l’estinzione del Partito democratico. Che invece dà segni di vita, non risolvendo, ovviamente, tutti i suoi problemi. Dà segni di vita come potenziale forza attrattiva a sinistra, alternativa determinata alla maggioranza di destra per rendere più forte e solida la democrazia contro ogni tentazione di intaccare i principi costituzionali. Toccherà finalmente ad un gruppo dirigente nuovo dare la linea all’opposizione unendola in un comune progetto, richiamare all’impegno i tanti cittadini che hanno respinto la politica, ne hanno rifiutato il linguaggio e con essa hanno staccato la spina, ringraziare e pensionare quella dirigenza che, per anni, ha interrotto la comunicazione, ha perpetuato se stessa, ha sequestrato il partito.

La Schlein ha il compito non facile di tenerlo unito, frenando la tradizionale vocazione a dividersi, di chiarire alcuni aspetti del proprio progetto che appaiono un po’ fumosi e poco comprensibili, a cominciare dalle posizioni sulla tragica vicenda della guerra. La nuova segretaria ha vinto in Sicilia, perfino con una percentuale leggermente superiore a quella nazionale. Anche qui si è manifestata la domanda di radicale cambiamento. Ma qui, per una pura bizzarria, in ossequio al “tutto cambi […]” di gattopardiana memoria, o perché spesso si mescolano inestricabilmente aspetti contraddittori nei passaggi della cronaca e della storia, a dovere essere cambiata è l’attuale dirigenza del Partito democratico, che in questo congresso, in un gioco delle parti, si è intestata la candidatura della nuova segretaria, dopo averlo guidato nelle più cocenti sconfitte di questi ultimi anni, riducendolo alla irrilevanza. È stata proprio questa stridente contraddizione che, dopo avere scritto nel gennaio scorso “non vedo alternative alla Schlein e ad un congresso che si apra alla partecipazione del maggior numero possibile di energie nuove con la determinazione di cambiare pagina, di svecchiare adottando metodi nuovi”, ho avuto qualche perplessità. Pensando alla segreteria regionale, del tutto inesistente ed autoreferenziale, a persone anche di valore come Provenzano, che dà l’impressione di guardare da lontano a questa terra, dopo averla scelta per una candidatura garantita, mi sono sorti dei dubbi.

Voglio, comunque, pensare che la intuizione iniziale, non contraddetta anche perché non ho potuto votare, resti quella valida. Se c’è un luogo che ha bisogno di scelte radicali, di rotture con il passato, di una classe dirigente capace di scommettere, di correre il rischio dell’azzardo piuttosto che cercare le comodità della sopravvivenza, è proprio questo.

La Schlein dovrà costruire un partito vero, con gente nuova, adeguata a capire il tempo che viviamo, ad indicare una possibile via da percorrere per uscire dalla desertificazione demografica, culturale, economica e politica, dalla scelta del sussidio come unica risposta alle diffuse, disperanti sue condizioni, dovrà favorire il protagonismo di donne e di giovani che le sue idee capiscano e condividano e con i suoi valori si sintonizzino.

Se ne gioverebbe il Partito democratico, tutto ciò che resta a sinistra, lontano dalla debordante forza della destra e l’intero sistema politico, da tempo non più motore dello sviluppo ma impegnato a garantire quasi esclusivamente la sopravvivenza delle strutture pubbliche.