Di certezze, poche. A parte i primi manifesti di Falcone e Tamajo, le due primedonne di Forza Italia che hanno cominciato a farsi la “guerra” a colpi di 6×3, le prossime Europee campano di indizi. E di “battitori liberi”. Cioè personaggi di un certo calibro, fuori dal giro dei partiti tradizionali e per questo svantaggiati dalla formula della competizione, che vorrebbero accaparrarsi una fetta d’Europa.

D’altronde, come biasimarli. Hanno tutti un discreto pedigree: Cateno De Luca, primo dei battitori liberi, ha preso mezzo milione di voti alle ultime Regionali, ed è rimasto fedele a se stesso. Ottimo amministratore e prelibato casinista – ma coraggio da vendere quando c’è da metterci la faccia – sta tirando su una formazione curiosa, fra testimoni di giustizia, vittime del racket e simboli dell’antimafia (come il Capitano Ultimo che arrestò Riina). Aumenta man mano nei sondaggi e nella popolarità, ma sarà quasi impossibile accreditarsi del 4 per cento a livello nazionale, utile a superare lo sbarramento. Farà credere a tutti quanti che gli manca uno zero virgola per l’impresa. Questa strategia solitamente paga.

Poi c’è Totò Cuffaro. Che non ha bisogno di apparire troppo per risultare “fastidioso”. L’ultimo nemico interno, che ne osteggia l’approdo nel listone di Renzi, è l’ex sindaco di Parma, un tempo grillino, Federico Pizzarotti. In questo continuo rimbalzo di accuse e comunicati, l’ex governatore siciliano non ha molto da guadagnarci. Ma si sa: la gogna non piace a nessuno. Tanto meno al leader della DC Nuova che, pur avendo scelto di non candidarsi, e pur avendo scontato la sua pena in maniera dignitosa, riceve il trattamento di un appestato mentre tutto intorno, dalla Santanché in giù, la “questione morale” arranca. Cuffaro sceglierà da che parte stare – in verità lui avrebbe già deciso – ma si troverà a dover mandare giù molti veti: e il genero (Zambuto) no, e la Donato no, e quell’altro no. Eppure è uno che alle ultime elezioni, dopo anni d’assenza e una ricostruzione faticosa, ha portato a casa più del 6 per cento e 120 mila preferenze. Un big delle preferenze.

Non ce ne sono molti in Sicilia. Ma uno forse sì: si chiama Raffaele Lombardo ed è l’altro pezzo pregiato del mercato. Non ha voluto condividere con Sammartino le attenzioni di Matteo Salvini, e ha preferito abbandonare per la seconda volta, di nuovo alla vigilia delle elezioni, il Carroccio traballante. Non ha resistito al rancore personale che sin dal primo istante l’ha diviso dal competitor etneo. Ma superata la fase (per niente traumatica) della separazione, e appurato che i leghisti hanno reagito alla fuitina trincerandosi nel silenzio (disinteresse o cosa?), il leader autonomista sembra orientato a trovare riparo nel re dei rancori: Renato Schifani. Il governatore in carica, assieme a Marcello Caruso, l’ha accolto all’indomani dell’intervista a ‘La Sicilia’ per presentargli “il progetto del partito, che si prefigge di coinvolgere in modo attivo tutte le formazioni politiche che si riconoscono nei valori e nei programmi del Partito Popolare Europeo”.

Ma Forza Italia non era quella che aveva chiuso la porta in faccia a Cuffaro perché non c’erano abbastanza posti in lista e “Falcone temeva la concorrenza di un candidato riconducibile alla Democrazia Cristiana”? In attesa di risolvere l’enigma e risalire alle cause della rottura – è per caso la questione morale in salsa chinnicesca che farebbe rabbrividire il rimpianto Berlusconi? – Lombardo valuta anche altre opzioni: compresa quella dell’appoggio esterno a un candidato di Fratelli d’Italia (il prediletto è Ruggero Razza), che da battitore libero lo trasformerebbe, però, in alleato servile (specie nei confronti del Balilla di Sicilia). Sta a lui decidere cosa è meglio.

Perso il treno della federazione con il Mpa, la Lega – che attraversa una fase di assestamento – non dispera e ha già trovato il modo per cautelarsi. Da settimane Luca Sammartino sta corteggiando Raffaele Stancanelli, eurodeputato uscente di Fratelli d’Italia, già sindaco di Catania. Uomo di destra, con una storia da amministratore molto solida, grande carisma e doti diplomatiche. Capace, a differenza di molti gerarchi minori, spuntati come funghi dalla fucina di FdI, a mantenere ottimi rapporti di vicinato con tutti i colleghi, compresi quelli d’opposizione. E di non cedere alla deriva del suo (ex) partito, che in Sicilia risponde solo alle logiche dell’arroganza e del potere (vedi Turismo). Stancanelli si è defilato da gran signore quando FdI – ancora in collera per il mancato sostegno al Musumeci-bis – non ha neppure considerato la sua proposta di riprovarci. Ne è uscito sofferente, durante un congresso, ma senza scalciare. Ha continuato a seminare all’Europarlamento prima che qualcuno si facesse vivo.

Quel qualcuno è arrivato. Non si tratta di Ignazio La Russa, che si è messo di traverso quando l’ex sindaco di Catania sembrava poter rappresentare il “candidato di sintesi” del centrodestra alle ultime Regionali. Bensì Matteo Salvini, che in una recente intervista ha dichiarato di volerlo incontrare: “E’ un bravo amministratore e apprezzato eurodeputato, sarebbe un peccato disperdere questo patrimonio di esperienza per la Sicilia”. Salvini, che di recente non ne azzecca molte, avrebbe un’occasione per rifarsi. Cosa sta aspettando? Significherebbe prediligere la sostanza alla forma, la serietà allo show. Un discreto passo avanti per la politica dei giorni nostri.