I riflettori sono tutti puntati sulla Sicilia. A meno di 48 ore dalla chiusura della campagna elettorale, i big sono approdati nell’Isola, o lo faranno a breve. Parzialmente distribuiti fra Catania e gli altri Comuni al voto domenica e lunedì. Matteo Salvini ha già fatto una puntatina a Licata, città della segretaria leghista Annalisa Tardino, dove ha trovato ad attenderlo una folla oceanica come ai tempi che precedevano il Papeete. Giuseppe Conte, da questa mattina, sarà impegnato in un autentico tour de force – da Trapani a Ragusa – per dare manforte ai propri candidati.

Arriverà persino la premier Giorgia Meloni, che venerdì sera, facendo i dovuti scongiuri, replicherà il comizio di Brescia, dove il centrodestra ha fatto registrare l’unico vero tonfo della prima tornata delle Comunali. Sarà con Salvini e Tajani, al posto di Lupi, per spingere Enrico Trantino verso l’ultimo chilometro di una campagna elettorale senza scosse. L’unica – pensate il livello – è la scelta di Renato Schifani di mettergli a fianco il commissario regionale di Forza Italia, Marcello Caruso, designato assessore in prima battuta. Un palermitano. Giorgia si farà strada fra le macerie di un centrodestra che ha trovato la quadra dopo aver sfiorato la rottura (per l’antica contrapposizione tra FdI e la Lega, che puntava sulla Sudano).

I big ci sono quasi tutti. Pronti all’appello. A lanciare la volata. Offrendo una prospettiva di futuro, ed esaltando, come nel caso della Triade, i risultati ottenuti in pochi mesi al governo della “nazione”. Senza porsi il vero interrogativo: perché la Sicilia dovrebbe fidarsi di noi? Rigirando la frittata, qual è stato il beneficio per l’Isola di un governo a trazione centrodestra? Fin qui la Meloni ha ottenuto un solo risultato: aver rimpiazzato lo spento Nello Musumeci con un forzista “adottato”: ossia Renato Schifani. Che in questi primi mesi di legislatura, dopo un’infatuazione reciproca, non si sta confermando all’altezza delle aspettative.

Il tranello architettato da La Russa per sbarazzarsi di Micciché, riuscito nella prima fase, deve fare i conti con l’operato nullo di un governo contestato, col solito garbo, persino dal presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno. Anch’egli di Fratelli d’Italia. Galvagno, è arrivato ad analizzare il lassismo del parlamento partendo da più lontano: “Posso tenere l’aula aperta h24, ma non c’è carne al fuoco”. Ergo: che fine ha fatto il governo? Quali proposte di legge ha avanzato?

L’altra impronta della Meloni su questa prima parte della legislatura, sette mesi ormai, è il cambio alla guida dell’assessorato al Turismo: anche se la staffetta fra il maresciallo Scarpinato ed Elvira Amata, non ha cancellato i dubbi e fatto rientrare gli scandali. Sui Cannes restano accesi i fari di tre procure, su SeeSicily il verdetto tranchant dell’Audit che ha ritenuto fuori luogo le spese legate al capitolo comunicazione: 24 milioni di euro. Nessun chiarimento è pervenuto dalla frangia turistica di Fratelli d’Italia su come, negli anni, si siano spesi i soldi. Solo un tentativo, riuscito male, di prorogare l’investimento di SeeSicily “perché ha salvato la Sicilia e i flussi sono migliorati”. L’ha balbettato la Amata. Immemore del fatto che la gente è tornata a viaggiare perché è finita la pandemia, non grazie ai 400 mila euro spesi per uno spot televisivo a Ballando con le Stelle.

La Meloni, già che c’è, potrebbe giustificare le numerose impugnative piovute sull’ultima Finanziaria, la prima del tandem Schifani-Falcone, che ha costretto il governo a una precipitosa contromisura (un “collegato” ancora da esitare in giunta) per salvare capre e cavoli. A ispirare la bocciatura è stato un ministro di Fratelli d’Italia, Raffaele Fitto, secondo cui la Regione avrebbe voluto utilizzare delle risorse che non erano ancora nella sua disponibilità. Giorgia potrebbe parlare di Razza e Arcidiacono, punte di diamante di FdI finite invischiate nell’inchiesta della magistratura sulla sanità catanese. Ma lascerà correre perché la giustizia deve fare il suo corso. Giusto così.

Anche gli altri amici del centrodestra, in Sicilia, non hanno lasciato ricordi indelebili. Antonio Tajani, dopo essere intervenuto in presenza all’ultimo convegno azzurro a Mazara del Vallo (era novembre 2021) si è defilato dalle polemiche, permettendo che Forza Italia, nell’Isola, deflagrasse. Ha lasciato l’incombenza a Licia Ronzulli, che dopo aver perso posizioni ad Arcore, non è riuscita a impedire il blitz di Schifani, che ha sfilato la guida a Gianfranco Micciché per assegnarla a Marcello Caruso. Oggi, pur di non scendere a patti con il nemico di una vita, il governatore chiede che non venga invitato alle inaugurazioni. Roba da scuola elementare. Forza Italia ha risentito del clima di rinnovamento, nonostante all’ultima kermesse – cui Tajani è intervenuto da remoto, il mese scorso – abbia indossato l’abito migliore per mostrarsi compatto. Cancelleri e la Chinnici, due ingressi dell’ultim’ora, sono il segno tangibile di una disfida interna, dove il Ministro degli Esteri deve tenere a bada le mire espansionistiche dell’ex presidente del Senato. Il voto di Catania, dove Caruso è stato indicato assessore, rappresenta un turning point per la nuova classe dirigente (che a Siracusa, per esempio, ha già fallito nel progetto unitario).

Salvini, tolti i trascorsi burrascosi per alcune canzoncine grottesche sull’Etna, è l’unico a poter vantare un “debito” in Sicilia. Fra Palermo e Catania ha vissuto infinite grane giudiziarie. Inoltre, è stato fra i protagonisti del salvataggio del comune etneo nel 2019, quando, da Ministro dell’Interno, si fece interprete di un massiccio aiuto economico all’indomani della dichiarazione di dissesto. La sua Lega non naviga, tuttavia, in buone acque. La presenza di Mimmo Turano in giunta è a rischio, dopo che il suo gruppo di riferimento, a Trapani, ha scelto di appoggiare l’uscente Giacomo Tranchida anziché il candidato della coalizione (e di Fratelli d’Italia in particolare). Inoltre, l’assessorato alla Formazione professionale, retto sempre da Turano, sta attraversando un momento critico che, a confronto, la polemica sui trascorsi ‘neri’ di Samonà, era una barzelletta. Gli enti, che in passato hanno organizzato i corsi e fatto lavorare gente, vantano arretrati (riferiti a vecchi Avvisi del 2018, 2019 e 2020) per circa 130 milioni. I docenti, fin qui, non hanno visto che le briciole. E Schifani s’è impegnato a sbloccare i pagamenti non appena verrà completato il riaccertamento dei residui, a metà giugno. Ma è l’ennesimo episodio della storia della Regione insolvente.

La causa, probabilmente, è da rinvenire nella carenza d’organico che blocca la burocrazia. E qui veniamo dritti al buon Giuseppi. Il leader dei Cinque Stelle, da presidente del Consiglio, siglò l’Accordo Stato-Regione con Musumeci. Un’intesa rimasta pressoché invariata nonostante l’emendamento “Salva Sicilia” proposto, mesi fa, dal governo Meloni, che permette di recuperare due rate del disavanzo solo alla scadenza dell’accordo. La cosa peggiore è che il patto impedisce alla Regione di assumere (fino al 2029). In pratica, Conte, di comune accordo con Musumeci, ha consegnato la pubblica amministrazione siciliana a una desertificazione senza precedenti. Non si possono rimpiazzare nemmeno i pensionati. Questo è il motivo per cui gli uffici sono pieni di pratiche e autorizzazioni inevase. Questo è uno dei motivi perché si rischia, un giorno sì e l’altro pure, di perdere i soldi del Pnrr. A questo giro Conte, il papà del Reddito, non potrà nemmeno appellarsi al sussidio di stato, già archiviato da Meloni, per fare incetta di consensi. Segno che la magia ha i giorni contati.

La quinta incomoda è Elly Schlein. Suo malgrado, non ha niente da dare, né da chiedere. E’ in sella da pochissimo e deve ancora abituarsi alle promesse e alla propaganda. Trova un Pd ridotto ai minimi termini, da reinventare radicalmente. Dopo un primo giro di campagna elettorale, culminato con un caffè a casa di una donna che la reclamava, non tornerà per l’ultima benedizione prima dell’apertura delle urne: “Contavamo di farlo, ma siamo stati concentrati sull’emergenza in Emilia Romagna e Marche – ha detto a ‘La Sicilia’ – Spero di farlo per i ballottaggi”. Basterà la novità a rimuovere le incrostazioni di anni?