Parola d’ordine: ‘evitiamo’. Giuseppe Conte, atteso al varco delle primarie, con un repentino cambio di programma – dettato anche dall’agenda romana – ha scelto di saltare un paio di appuntamenti in programma la prossima settimana nell’Isola. Due momenti che il capo politico dei 5 Stelle avrebbe potuto utilizzare per spingere le registrazioni a SkyVote, la piattaforma online dove il 23 luglio si sceglie il candidato del ‘campo largo’ alla presidenza della Regione.

Gli accadimenti di giovedì – col M5s che non vota la fiducia, Draghi che si dimette e Mattarella che congela la crisi – non potevano non avere ripercussioni sulla situazione siciliana. Dove una coalizione che nei fatti non esiste più, dovrà ratificare (nelle urne online) la scelta di stare insieme e di puntare su una persona – addirittura un “esterno”, se dovesse trattarsi di Claudio Fava – che sia espressione di posizioni divergenti. Non solo sui temi più banali, vedi Ponte sulle Stretto; ma anche sull’approccio alla politica, sui governi balneari, sulla consistenza della proposta, sul ripiego agli effetti speciali.

L’affaire Conte, però, è più pratico di così: chi consiglierebbe a un ex premier, che ha appena mandato in pappa un’esperienza di governo, scorrazzare su un lungomare affollato per promuovere un esperimento di laboratorio? Nessuno. Ma è lo stesso Conte ad aver afferrato che il momento è poco propizio a un’esibizione così audace. Così, dopo aver consultato lo stato maggiore grillino nell’Isola, ha preferito declinare. Il M5s, però, ha tutto l’interesse a rovesciare il ragionamento: ha poco senso trascinare Conte in Sicilia e creargli un codazzo di persone dietro, fra cui parlamentari regionali e nazionali, in quella che sarebbe un’evidente dispersione di energie.

In questi pochi giorni che li separano dalle primarie, infatti, gli impegni non mancano. Al netto dei dibattiti tematici (se ne dovranno celebrare ancora quattro, da qui a venerdì 21), l’obiettivo prioritario è far votare la gente. E, purtroppo per gli organizzatori, i numeri non sono in linea alle attese. I dati aggiornati a giovedì sera parlano di 17mila registrazioni avvenute. La provincia più attiva è Palermo, tallonata da Catania. Ma in tanti, e in tutti gli schieramenti, storcono il naso di fronte ai numeri provenienti dalle singole città. Palermo, tutto sommato, regge: 1.913 registrazioni. Gela è al secondo posto con 798. Poco distante Catania con 679 (anche se la popolazione è di gran lunga superiore). A Pedara, la città di Anthony Barbagallo, segretario regionale del Pd, si sono registrate 126 persone. Non va benissimo nemmeno a Caltanissetta, la città di Giancarlo Cancelleri (e del sindaco pentastellato Roberto Gambino), dove, comunque, hanno risposto all’appello in 270.

Notate la differenza con una città come Ragusa: gli stanziali Stefania Campo (M5s) e Nello Dipasquale (Pd) hanno già portato in dote 451 potenziali elettori (il giorno delle primarie arriverà sul loro cellulare un promemoria per accendere il computer e cliccare il preferito). Ma gli analisti si soffermano anche su altre realtà: a Caltagirone, dove l’esperienza giallorossa ha permesso di eleggere il dem Fabio Roccuzzo, ci sono 211 iscritti; a Termini Imerese, la città di Luigi Sunseri (M5s) e del sindaco Maria Terranova, se ne contano 163; va peggio a Castelvetrano, amministrata dal grillino Enzo Alfano, con 53. Anche ad Alcamo, dove Domenico Surdi è stato riconfermato a furor di popolo, siamo solo a 113. Nella piccola Pantelleria, del sindaco Vincenzo Campo (M5s), solo in undici hanno completato la procedura. Persino a Enna, dove Fabio Venezia, primo cittadino di Troina e responsabile organizzativo del Pd Sicilia, ha ottenuto la nomination per le Regionali dopo un confronto dai numeri strabilianti (15 mila persone hanno votato nei gazebo), l’entusiasmo si è appiattito: 113 registrati in città (ma a Troina sono in 192).

Gli indizi provenienti dal territorio, ovviamente parziali, sono ottimi strumenti per indirizzare le strategie. Per compilare i primi exit poll. Per capire se è meglio far venire Conte, o dare la sveglia a sindaci e parlamentari che battono un po’ la fiacca. I tre candidati, nel frattempo, continuano a girare come trottole. E durante i confronti saranno – anche – tenuti a giustificare questa alleanza. Soprattutto Pd e M5s. Barbara Floridia in parte l’ha già fatto (“Nell’Isola il Movimento 5 Stelle e il Pd sono insieme e continuano a lavorare insieme. Sfido qualsiasi altro rappresentante del Pd a dire il contrario”), mentre la Chinnici non ci prova nemmeno. L’europarlamentare non dà giudizi, non contesta, non eccepisce. Barbagallo, dall’alto delle sue responsabilità, ha dovuto rendere conto di una battuta di Dario Franceschini a Cortona, dove un paio di settimane fa s’è riunita Area Dem: “Se i Cinquestelle rompono a Roma l’alleanza finisce ovunque”, aveva detto il Ministro della Cultura. Un concetto ridimensionato dal segretario regionale del Pd a Repubblica: “Il dibattito dentro il partito è ricco di contributi. Il dialogo si intensificherà nelle prossime ore. Teniamo la barra dritta”.

In questa escalation di toni e imprevisti, ma soprattutto di contrapposizioni, si infila a dovere Claudio Fava. Che attraverso un video pubblicato su Facebook, ieri, parla della decisione dei Cinque Stelle di non votare la fiducia al governo Draghi: “Questa è una crisi folle, priva di qualsiasi giustificazione”. Per due motivi, secondo l’ex presidente dell’Antimafia: “Stiamo rimettendo nelle mani della peggiore destra il pallino di questa legislatura, restituendo legittimazione politica a Salvini e Meloni; inoltre, se si va al voto anticipato rischiamo di veder naufragare un pacchetto di misure che non servono ad abbellire i saloni della politica, ma sono ristori per chi esce da una lunga stagione di crisi e per chi è socialmente vulnerabile. Mi aspetto che un partito che si è affacciato dal parlamento per dire di aver abolito la povertà, si carichi questa responsabilità sulle spalle”.

I Cinque Stelle, da parte loro, negano qualsiasi refluenza romana sulle primarie siciliane. L’ipotesi che possano saltare, per il momento, è pari a zero. Sempre che mercoledì, durante le comunicazioni di Draghi alle Camere, non accada l’imponderabile. Ad esempio che il premier si dimetta per davvero e Mattarella ordini il ritorno alle urne. A quel punto tornerebbe tutto in discussione e la melassa giallorossa, allora sì, potrebbe risentirne.