Il governo di Renato Schifani, la lealtà di Gianfranco Micciché, il seggio di Marta Fascina, la nostalgia di Umberto Scapagnini. Ma anche il sogno del Ponte sullo Stretto. E’ questa l’eredità siciliana di Silvio Berlusconi, morto a 86 anni, dopo una forma di leucemia che l’ha consumato poco a poco. Nell’Isola il Cav. non s’è più visto dall’udienza del processo sulla Trattativa Stato-Mafia, l’11 novembre 2019, quando si avvalse della facoltà di non rispondere. Non ha più aperto la casa di Lampedusa, nella splendida Cala Francese, se non per accogliere (in sua assenza) Matteo Salvini, impegnato in una serie d’incontri bilaterali. Era solo un’estate fa. Non ha più presenziato ai bagni di folla convocati al Teatro Politeama, l’ultimo il 22 aprile, durante il suo ricovero a Milano.

Non è tornato in campagna elettorale, alla vigilia delle elezioni Politiche e Regionali del 25 settembre , per dare una spinta a Forza Italia e alla sua quasi-moglie, Marta Fascina, che ha comunque vinto nell’uninominale di Marsala, aggiudicandosi un seggio in Parlamento. Della visita di coppia si parlò per settimane, come fossero Ferragnez qualunque, ma alla fine Berlusconi preferì concentrarsi su quello che gli riusciva meglio: bucare lo schermo. E’ così che ha permesso a Forza Italia di sopravvivere fino alla fine ma – forse – non a se stesso. Gianfranco Micciché, a pochi minuti dalla morte del leader, è tranciante: “Non ci sarà più Forza Italia. Muore con Silvio. E’ un fatto scontato – ha detto all’Adnkronos l’ex presidente dell’Ars -. Il nostro non è un partito da congresso per sapere chi prende la direzione. Assisteremo alla lite su chi è proprietario del simbolo, a chi non lo è. Già so come andrà a finire”.

La Sicilia, alle ultime Amministrative, ha confermato in parte l’affetto per Berlusconi. A Catania ha superato ampiamente la doppia cifra, altrove non è andata come sperato. C’era riuscita un po’ meglio alle Regionali, dove ha conteso il primato a Fratelli d’Italia fino alle ultime schede. Sfiorando il 15 per cento. Ha ottenuto in cambio una lauta ricompensa: la presidenza Schifani. Il primo governatore azzurro dai tempi dell’elezione diretta. Anche se le circostanze sono del tutto anomale – la spinta decisiva è attribuita a Ignazio La Russa – fu Berlusconi a dare il ‘via libera’ a quello che poco tempo prima aveva rivestito l’incarico di suo consigliere politico. Lo stesso Schifani che oggi, parlandone, si commuove: “La notizia della morte di Silvio Berlusconi mi sconvolge, essendo venuto meno non soltanto il mio leader politico ma un fraterno amico”.

Il Cav. ha saputo, o voluto, tirarsi fuori dalla faida che aveva investito il partito a Palermo. La guerra fra Schifani e Miccichè, tra due forzisti della prima ora, ha finito per addolorarlo. L’ha costretto a un passo di lato, a un tentativo di ricomposizione da parte dell’ambasciatrice dell’epoca Licia Ronzulli, che però non è riuscita a suturare le ferite. E se da un lato la forza politica e numerica di Schifani, da neo governatore in carica, è diventata ogni giorno più forte (così come le perplessità, recentissima, di affidare a un triumvirato “della porta accanto” i propositi di riorganizzazione di FI su scala nazionale), dall’altro non è mai venuta meno la lealtà di Micciché. Sofferta e a tratti insopportabile. Da manager di Publitalia a commissario di lungo corso, fine stratega e portatore di voti, è stato costretto dalle circostanze a fare un passo di lato. A dimettersi dal suo incarico, lo scorso 11 marzo, per evitare che si consumasse la diaspora. Eppure non ha mai lasciato il “suo” partito, quello che l’aveva confinato al gruppo misto all’inizio di questa legislatura. L’ha fatto per Silvio. Per evitare di infliggere un’altra coltellata nel corpo e nell’anima già deteriorati del Cavaliere di Arcore.

E’ difficile cosa ne sarà di Forza Italia, chi sarà in grado di raccoglierne il testimone, come si evolverà il rapporto coi moderati (e in Sicilia, con le presenze di Cuffaro e Lombardo, lo scenario è persino più articolato che nel resto del Paese). Ma se c’è un piccolo segnale di speranza e lungimiranza che Berlusconi tramanda ai cittadini di questa terra: è il sogno del Ponte sullo Stretto. Che fu lui a immaginare, ricercare, finanziare e progettare. “I miei governi erano giunti ad un passo dalla sua realizzazione – disse nel corso dell’ultima campagna elettorale, ad agosto dell’anno scorso -. Nel 2005 eravamo addirittura arrivati all’aggiudicazione dell’appalto con un bando internazionale vinto da un’impresa italiana. Oggi il ponte sarebbe già da anni una realtà, con costi molto inferiori a quelli che dovremo affrontare ora, se non fosse stato bloccato per due volte dai governi della sinistra. Questa volta non ci fermeranno”. Salvini ha raccolto l’eredità di quel sogno, spacciato tante volte come propaganda. Il progetto, coi dovuti aggiustamenti, è lo stesso del 2011, prima che Monti ne cancellasse ogni traccia. Si farà?

Ma non tutto si misura con la concretezza. A volte è suggestione. Al netto delle cose fatte e non fatte – Micciché ripeterà a menadito la storia dell’acqua a Palermo e del completamento della rete autostradale in direzione Messina – rimangono l’ingegno, le passioni, gli uomini. Quelli lanciati sul grande palcoscenico della politica. Come l’agrigentino Angelino Alfano, “il delfino senza quid”, celebrato in pompa magna fino alla vicepresidenza del Consiglio; come i ministri Antonio Martino ed Enrico La Loggia, grandi protagonisti della prima stagione berlusconiana, che li accreditò di consenso popolare e incarichi di governo; o come Umberto Scapagnini, il suo medico personale, diventato sindaco di Catania. Scomparso nel 2013, il Cav. ha voluto tributargli un pensiero nell’ultima intervista rilasciata a ‘La Sicilia’, alla vigilia delle elezioni Comunali che hanno visto il trionfo di Enrico Trantino: “Provo nostalgia umana per Umberto Scapagnini e un profondo rispetto per la sua memoria – confidò a Mario Barresi – ma quella stagione appartiene a un passato ormai lontano. Ora Catania si deve misurare con nuove grandi sfide, merita un’amministrazione che guardi al futuro e che sia all’altezza di una grande città in una posizione strategica al centro del Mediterraneo”.

E’ stata la sua ultima, piccola attenzione per una regione che gli ha regalato grosse soddisfazioni elettorali (come il 61 a 0 del 2001) e i soliti, indicibili sospetti (come i paventati rapporti con la mafia, attraverso la figura del suo storico collaboratore Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno). Non esiste una storia perfetta, e neppure un finale perfetto. Non c’è esempio migliore di Berlusconi per spiegare la caducità della vita e, volendo, della politica.