Tra un richiamo a sondaggi poco ortodossi (che vedrebbero la Chinnici indietro di appena 5 punti su Schifani) e l’ultimo rischio di rottura paventato da sinistra, si è conclusa la lunga giornata siciliana di Enrico Letta. Il segretario nazionale del Partito Democratico ha preso parte a due iniziative, tra Catania e Palermo, anche se il mancato invito ai Centopassi – l’altra gamba della coalizione – ha indispettito non poco Claudio Fava. L’ex presidente dell’Antimafia, che già aveva lamentato una scarsa presenza di Chinnici in campagna elettorale, contestandone apertamente le strategie, non le ha mandate a dire, minacciando la rottura a pochi giorni dal voto: “Noi dei Centopassi siamo leali, non minchioni – ha tuonato Fava a metà pomeriggio -. Se il Pd ritiene che la candidatura della Chinnici sia un suo affare privato, e se Caterina Chinnici si ritiene impegnata a far campagna elettorale solo con i candidati del Pd, nessun problema. Vorrà dire che il Movimento Centopassi si riterrà libero da impegni e di far campagna solo per la propria lista”.

Letta, a margine dell’evento palermitano di Villa Filippina, ha provato a stemperare i toni: “Questa è una manifestazione del Partito Democratico che inizia la campagna nazionale e regionale. La mia presenza qui è legata al lancio del PD. Un lavoro comune è assolutamente utile alla causa”. Fava, nel corso della diretta Facebook di martedì pomeriggio, ha accennato alla “risposta garbata” di Letta, confermando le proprie perplessità sulla strategia della Chinnici che “non è la candidata del Pd ma della coalizione progressista. Questa strategia rischia di diventare controproducente”. A rafforzare le sue tesi è arrivata la nota di Nuccio Di Paola, candidato alla presidenza per i Cinque Stelle. Il Movimento aveva deciso di rompere alla vigilia della presentazione delle liste, rimarcando il proprio disappunto per la presenza del nome della Chinnici sul simbolo elettorale del Pd: “Vedo che Fava si è finalmente reso conto che quello che dicevano da tempo sul Pd non è mai stato campato in aria: il partito ha sempre considerato Chinnici una suo affare privato e comprendiamo perfettamente lo stato d’animo del leader di Centopassi. A questo punto non possiamo che ribadire ai siciliani, ancora con maggiore forza, che il voto utile contro Schifani siamo noi”, ha detto Di Paola.

Letta, fra le tante cose, ha provato a spegnere gli ultimi focolai causati da dissidenti. Dopo gli addii di Luigi Bosco e Angelo Villari, massimi rappresentanti del Pd etneo passati alla corte di Cateno De Luca, anche il deputato messinese uscente (ma non ricandidato) Pietro Navarra, ha scelto di sostenere la corsa di Renato Schifani. Navarra, che il Pd aveva candidato a sindaco della città peloritana non più tardi di tre mesi fa, si è giustificato: “Io non sono mai cambiato. È il Partito Democratico ad avere ceduto ancora una volta a una deriva radicale nella quale mi sento fuori posto. Per queste ragioni, dopo una pausa di riflessione e di confronto con i tanti amici che hanno sostenuto la mia esperienza politica negli ultimi 4 anni, ho deciso di lasciare il Partito Democratico”. Una fuga a cui ha risposto Letta in persona: “C’è chi pensa che il PD sia un autobus e va a cercare altri mezzi quando non trova più posti. Francamente di questi passeggeri ne facciamo a meno. Il nostro partito è fatto di gente che si impegna a prescindere dalla candidatura. Io sono stato presidente del Consiglio grazie al Partito Democratico. Quando ho smesso di farlo, sono stato sempre un militante, sempre impegnato per i nostri colori. Quando si fa parte di una comunità politica, si lavora in qualunque elemento e posizione”.

Il resto della giornata – eufemismo – è volato via liscio. Letta, snocciolando i dati di un sondaggio che vedrebbero Schifani al 35% e la Chinnici al 30%, ha ribadito che “Caterina Chinnici è di gran lunga la migliore candidata per il futuro dell’isola. È la candidata che con più dignità e forza rappresenta il futuro della Sicilia. Sono convinto che le prossime tre settimane di campagna elettorale saranno in crescita, e che ci consentiranno di arrivare ad una vittoria che sarebbe la migliore notizia per la gente di questa terra”. Letta è tornato alla rottura coi Cinque Stelle, provocata – fra l’altro – dalla sua decisione di sciogliere l’alleanza a livello nazionale, dopo la scelta dei grillini di negare la fiducia a Draghi: “Per me la parola data, la stretta di mano e l’impegno preso dinanzi agli elettori sono le cose più importanti. La politica se non ha il rispetto della parola data, e il rispetto della volontà degli elettori, finisce per essere semplicemente una serie infinita di giochetti”. L’ex premier ha indicato la via per questi ultimi giorni di campagna elettorale: “Abbiamo un obiettivo principale, parlare a quel 40% di persone che nei sondaggi oggi dicono che si asterranno o che non hanno ancora deciso di votare”.

Ma i buoni propositi, in queste ore, scivolano troppo facilmente in secondo piano. Un’altra questione aperta, al netto degli impresentabili (che hanno provocato gli addii di Bosco e Villari, oltre al passo di lato di Giuseppe Lupo, è quella dei paracadutati. A partire da Anna Maria Furlan, ligure, ex segretaria nazionale della Cisl, che corre come capolista al Senato (Antonello Cracolici, in segno di protesta, ha scelto di rinunciare alla propria candidatura e tornare all’Ars); passando per Antonio Nicita, siciliano di nascita ma estraneo a tutte le dinamiche di partito; senza dimenticare Bobo Craxi, al quale non basta aver comprato casa a Palermo (come dichiarato a Repubblica) per dirsi un “rappresentante del territorio”. “Per fare gli interessi della Sicilia non basta essere siciliani”, ha detto Peppe Provenzano, vice-segretario nazionale, che in questi giorni è l’unico ‘big’ nazionale a tirare la carretta della campagna elettorale. Un modo come un altro per allentare la tensione e coprire le vergogne.

Ma che il Pd sia un luogo inquieto lo manifestano numerose uscite e contestazioni nei confronti di Anthony Barbagallo, che qualche giorno fa – di fronte all’ennesima rimostranza interna – ha deciso di revocare Antonio Rubino dall’incarico di coordinatore regionale. Rubino, esponente di Left Wing, non ha digerito l’esclusione di Fausto Raciti, ex segretario, dalle liste per le Politiche. E aveva imputato a Barbagallo di aver “distrutto una comunità, delegittimato storie politiche, attuato sistemi peggiori di quelli dei partiti di destra. La tua permanenza alla guida del Pd rischia di causare una balcanizzazione costante: hai il dovere di farti da parte per salvare il salvabile e consentire che il Pd vada avanti verso la campagna elettorale”. Anche da parte dei ‘secessionisti’, come Luigi Bosco, era arrivata una critica feroce nei confronti del segretario regionale, candidato sia a Roma che a Palermo: l’ingegnere ha parlato di “atteggiamento ingiustificabile” per aver consentito che “fosse calpestata l’immagine dei suoi candidati, che come nel mio caso lui stesso aveva fortemente voluto, senza spendere una sola parola in loro difesa”. Il riferimento è alla solita questione degli impresentabili.

Ma a differenza di chi, come Bosco, è andato via, altri attendono il 26 settembre per la resa dei conti. Qualche giorno fa si è palesato di fronte ai giornalisti lo stesso Rubino, in compagnia del deputato nazionale Carmelo Miceli (ri-candidato, ma in posizione complicatissima, alla Camera) ed Erasmo Palazzotto, che duella all’uninominale con poche chance di successo. Presso la sede del Pd Sicilia, che “è casa nostra” e “da cui non vogliamo andarcene”, hanno presentato “il nuovo progetto politico” che però “non è una corrente”, avvertono. “Il 26 settembre acquisiremo l’esito del voto ma oggi quell’idea di fare politica quell’approccio che ognuno di noi la mettiamo in campo. Nasce un progetto politico che ha in mente una nuova idea di Pd. Dal 26 capiremo”. I dettagli rimangono solo nella testa dei promotori. Ma Barbagallo non è al riparo da possibili imboscate, anzi.