Oh ladro mio, io ti invidio. E in qualche modo ti sono grato. Ti sono grato perché in queste giornate tormentose mi permetti di parlare d’altro, e mi distrai. Ti invidio, non tanto per le tue azioni, sia chiaro, né ovviamente per la tua indole. No. Invidio la tua condizione psicologica. Cioè, voglio dire, noi siamo tutti cagati sotto, ci barrichiamo in casa, rinunciamo ad abbracciare i nostri affetti più cari, ci spostiamo per andare al lavoro con tanto di autocertificazione da esibire ai numerosi posti di blocco, ci muniamo di mascherine, consumiamo quintali di disinfettante, abbiamo le mani screpolate a furia di lavarle, evitiamo di assembrarci, anzi no, evitiamo di avvicinarci a chiunque a meno di uno, due metri; ci aggrappiamo ogni giorno alle 18 al bollettino della protezione civile che snocciola come un rosario senza un Dio in ascolto, numeri drammatici, di contagiati, di malati, di morti. Aspettiamo i tg della sera per commuoverci e addolorarci dietro alle immagini delle bare allineate, dei camion dell’esercito che trasportano le salme verso un posto dove possano essere cremate; cerchiamo di capirci qualcosa dietro al virologo di turno, all’esperto dell’istituto superiore di sanità; apriamo i link che ci arrivano sui social dell’eterno complottista che ci spiega le sue teorie, sempre vere eh, sulla reale portata del virus, sugli interessi, neanche tanto malcelati, di questo o di quel paese, di questa o di quella industria farmaceutica; e poi io, misero giornalista, a sorbirmi le lezioni di chi ci attacca perché? perché ne parliamo, ovvio, e diamo parola alle istituzioni, agli scienziati delle istituzioni, e non a chi vorrebbero i <gomblottisti> di turno; e mentre mi dispero che nell’unico giorno libero non posso andare a fare la corsetta non perchè sia vietato (sotto casa) ma per senso di responsabilità, e poi vedo quattro coglioni che se ne infischiano e corrono lo stesso e se lo rimarco nei miei post mi becco le filastrocche di retorica grondante di coloro che smettono i panni dei gomblottisti per indossare quelli dei moralizzatori di fascino intellettuale altro, altro; io che vado a fare la spesa una volta alla settimana e ogni giorno che passo davanti al supermercato vedo in coda sempre le stesse persone (le conosco qui nel quartiere), e addirittura alcune si sono portate le sedie da casa per l’attesa; io che evito di correre ad abbracciare mio figlio che vive con sua madre a due chilometri da me perché come un coglione (a ridaje) voglio evitare che mi becchino ai controlli e voglio evitare qualsiasi rischio di contagio(non sia mai ch’io sia positivo asintomatico); io che ogni giorno sollecitato sui social cerco di spiegare che nessuno sa quando finirà, che non lo sanno neppure gli scienziati, figuriamoci uno come me; che nessuno sa perché la Lombardia sì, e non la Basilicata, per dire, ma poi trovi qua e la sepolti in rete articolo di grandi (?) giornalisti che invece te lo spiegano (mah, ah vero mah!); io che ho un fottuto mal di testa perché lavoro senza posa dieci ore al giorno inseguendo numeri e contagi, e selezionando immagini di ospedali al tracollo, di pazienti proni per respirare meglio, che parlo con polizia e carabinieri e finanza e vigili per raccontare che c’è gente che specula su mascherine e su disinfettanti, io che prego, sì prego, affinché tutto passi presto e possa correre da mia figlia in quarantena a Milano da un mese per riabbracciarla, e per riabbracciare anche l’altro mio figlio, e scendere giù in Sicilia a riabbracciare mio padre, i miei fratelli, i miei nipoti, io insomma che come milioni di italiani prego e spero che tutto finisca, ecco, io, proprio io, invidio un ladro come te a cui vorrei solo fare una domanda, una sola: ma come minchia ti è venuto, la notte del 21 marzo del 2020 in piena pandemia da coronavirus, di andare a forzare il bauletto del mio scooter per rubare i miei guanti imbottiti che a me servivano tanto al mattino? Che cazzo te ne fai?