Macché ne sa Giorgia Meloni che l’unica preoccupazione legata alla sanità, in Sicilia, è la nomina dei nuovi direttori generali. La partita scade il 31 ottobre, ma non c’è traccia dei “fantastici 18” che il presidente Renato Schifani e l’assessore Giovanna Volo metteranno a capo di ASP, Policlinici e ospedali nel prossimo triennio (per questo è sempre più probabile una proroga dei commissari). Mentre a Palermo si mette a dura prova l’ingegno per non scontentare gli alleati, a Roma si discute di risorse, ma soprattutto – per dirla con la presidente del Consiglio – di “come vengono spese”. Mattarella, nel suo discorso al Festival delle Regioni di Torino, aveva anticipato che il Servizio sanitario nazionale “è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare”. Mentre la premier era stata, come al solito, più schietta e un po’ tranchant: “Non basta necessariamente spendere di più” se poi le risorse “vengono spese in modo inefficiente”. In platea, ad ascoltarla (e applaudirla), il presidente della Regione Siciliana, che si era speso in una tavola rotonda sulle infrastrutture.

La sanità, infatti, è un tema tangente rispetto al suo governo. A meno che non si interpelli la posta del cuore: sui social, qualche giorno fa, Schifani ha elogiato la performance dei medici dell’ospedale San Marco di Catania per una operazione maxillo-facciale che ha consentito a una paziente di 16 anni di aprire la bocca per la prima volta. Questo denota due aspetti in uno: l’eccellenza di molti professionisti del settore, comprovata dalla cronaca, finisce per non essere ripagata dalla capacità di spesa e d’investimento, oltre che dalle scelte (anche gestionali) della politica siciliana. Che ad esempio ha previsto un pacchetto da 48 milioni di euro, di cui la metà riservati alle strutture convenzionate, per ridurre le liste d’attesa.

Restando ai numeri, stupiscono le classifiche pubblicate ieri dal quotidiano ‘La Sicilia’. La prima riguarda un’elaborazione della Corte dei Conti, anno 2022, che riferisce della poco invidiabile posizione dell’Isola sul fronte dei conti pubblici (la sanità è in rosso per oltre 240 milioni). Manco a dirlo, fra le peggiori. Ma siamo messi male anche sull’erogazione dei Lea, i cosiddetti Livelli essenziali di assistenza, che costituiscono un riferimento prioritario in vista della riforma dell’autonomia differenziata di Calderoli: la Sicilia è fra le 7 regioni inadempienti. A tutto questo basterebbe aggiungere i mille segnali che arrivano ogni giorno dagli ospedali di periferia, dove si fatica a reperire medici di Pronto soccorso, ma anche anestesisti e rianimatori, cioè le figure necessarie e propedeutiche all’attività chirurgica (che pertanto si blocca contribuendo ad ingrassare le liste d’attesa). Oltre che ad attivare strumenti di ultimissima generazione, acquistati con fior di quattrini e rimasti chiusi negli scantinati.

E’ un cane che si morde la coda, cui nemmeno gli 800 milioni messi in palio dal Pnrr è riuscito a risvegliare dal torpore. Ricordate gli Ospedali e le Case della Comunità? Vero è che la data di fine lavori è stata individuata per il 31 dicembre 2026 (pena la restituzione del denaro), ma finora gli unici progressi si sono registrati al “San Luigi” di Catania e a Caltanissetta, dove proprio l’assessore Volo, lo scorso 3 agosto, ha inaugurato una Casa delle Comunità, allocata al piano terra del vecchio ospedale “Vittorio Emanuele”. Comprende ambulatori specialistici, guardia medica, un punto pediatrico, un consultorio familiare e uno psicologo. Ma per il resto siamo quasi ovunque alla fase di progettazione e, laddove si rispetta la deadline fissata dal Ministero, alla fase di aggiudicazione dei lavori. Per non parlare delle opere di competenza della Struttura commissariale anti-Covid: interi reparti da rimodellare o da costruire ex novo (fra cui numerose terapie intensive), di cui s’è persa traccia nella notte dei tempi. E comunque resta il dubbio di sempre: chi ci mettiamo dentro a lavorare?

Medici non se ne trovano, anche se il ministro Schillaci, ribadendo alcune delle priorità dell’esecutivo, ha detto stop all’utilizzo dei “gettonisti” entro l’anno: “E’ assurdo che nello stesso ospedale pubblico ci siano persone pagate tre volte di più di chi lavora seriamente all’interno delle prestazioni pubbliche”. Se questa fosse la ratio, tutti vorrebbero fare i “gettonisti”. Ma se non ci fossero i “gettonisti”, forse, il sistema rischierebbe di implodere. Specie nelle aree non metropolitane, quelle che faticano a pescare anche tra gli specializzandi (dato che le università con cui attivare tirocini sono più distanti). L’ultimo provvedimento è un po’ tardivo, anche se basta a rassicurare gli Autonomisti di Lombardo. E’ il nipote di Raffaele, Giuseppe, a spiegare come funziona: “I presidi ospedalieri di frontiera – spiega il deputato questore dell’Ars – sono autorizzati ad implementare i propri contingenti medici dell’area dell’emergenza urgenza attraverso procedure di reclutamento che riguardano non soltanto le figure di anestesisti e rianimatori, ma anche internisti, chirurghi, cardiologi, gastroenterologi, neurologi ed ortopedici. Al fine di orientare l’interesse del personale sanitario verso tali presidi, il provvedimento in questione ha altresì disposto un divieto assunzionale, riferito alle medesime figure sanitarie, nei confronti di quelle Aziende ospedaliere, ARNAS e policlinici universitari che registrino una copertura di organico pari o superiore all’80 % della propria dotazione. Il provvedimento – continua il deputato regionale – autorizza, altresì, le Aziende territoriali ad attingere alle graduatorie dei medici specializzandi al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza in tutte le discipline mediche riconducibili all’area dell’emergenza urgenza”. Basterà?

In Sicilia ci sarebbe davvero l’imbarazzo della scelta sui problemi da affrontare. Ma tolte singole e sporadiche iniziative – vedi l’innovazione tecnologica per il servizio di emergenza-urgenza del 118 – le soluzioni latitano. E tutto finisce in caciara. L’obiettivo prioritario del governo è redistribuire i rapporti di forza tra le compagini che lo compongono. Come? Selezionando i manager in base al “peso” dei partiti e alla collocazione geografica. Se qualcuno dovesse rimanere scontento, c’è tempo per rimediare: sono stati riaperti i bandi per l’iscrizione nell’elenco degli idonei dei direttori sanitari e amministrativi (seguiranno colloqui). Ogni Azienda del Servizio sanitario regionale potrà contare su tre caselle, e non soltanto su una. Riequilibrare pesi e contrappesi sarà più facile.

“La sanità siciliana – diceva qualche giorno fa Michele Catanzaro, capogruppo del Pd all’Ars – continua ad essere al centro di scandali, disservizi, colpevoli ritardi e condizionamenti dettati da interessi illeciti. L’ultimo in ordine di tempo è quello sulle liste d’attesa”. Ma alle interrogazioni dei deputati, spesso, l’assessore Volo evita di rispondere. Annaspa o è impreparata. Anche se a Schifani, evidentemente, va bene così: è lui ad averla scelta, per evitare che i partiti si impadronissero di un assessorato troppo ghiotto (da circa 9 miliardi di budget); è a lui che toccherà difenderla dalle malelingue, dalle critiche sindacali, dal fuoco incrociato di alcuni alleati (vedi Fratelli d’Italia), dall’incompetenza a volte manifesta. Anche in questo caso, però, non c’è una data di scadenza. Pur di non governare, si continuerà a galleggiare.

Sanità, il Pd presenta ddl-voto all’Ars per incrementare i fondi

“Il diritto alla salute deve essere garantito a tutti i siciliani, ma bisogna passare dalle parole ai fatti: chiediamo al governo Schifani ed a tutti i gruppi parlamentari regionali di sostenere il nostro ddl-voto con il quale sottoporre al governo ed al parlamento nazionale la proposta di destinare più risorse alla sanità pubblica. Ci aspettiamo che la nostra proposta sia condivisa in modo trasversale, non solo dalle forze di opposizione ma anche dal governo e dalla maggioranza che altrimenti dovrebbero spiegare ai siciliani il motivo per il quale non vogliono impegnarsi per migliorare le strutture ed i servizi sanitari pubblici in Sicilia”. Lo dice Michele Catanzaro, capogruppo del Pd all’Ars a proposito del disegno di legge-voto presentato dal Partito Democratico (primo firmatario il parlamentare regionale Fabio Venezia) con il quale si chiede di aumentare i fondi nazionali destinati alla sanità regionale incrementando dall’attuale 6,7% al 7,5% del Pil la quota di risorse da ripartire tra le regioni italiane per la sanità pubblica.

“Mentre il governo Meloni prevede una ulteriore diminuzione delle risorse per la sanità – dice Venezia – che avrebbe un impatto devastante soprattutto in una regione come la Sicilia dove i servizi sanitari sono drammaticamente carenti, intendiamo batterci insieme alle altre regioni per destinare maggiori risorse alla sanità pubblica. Si tratta di una necessità di tutto il Paese ma essenziale proprio in Sicilia con liste d’attesa infinite, mancanza di strutture ed operatori, pronto soccorso intasati, personale stremato e servizi negati. Una situazione che porta ogni siciliano ad avere una speranza di vita più bassa della media nazionale e che porta la nostra regione al secondo posto in Italia per decessi evitabili”. L’aumento della quota del Pil per la sanità pubblica permetterebbe di disporre di ulteriori 4 miliardi per il 2023, 8 miliardi per il 2024, 12 miliardi per il 2025, e 16 miliardi per il 2026 (fondi che arriverebbero attraverso la lotta all’evasione fiscale, oltre che dalle previsioni di aumento del Pil). Se approvato dall’Ars, il disegno di legge passerebbe all’esame del parlamento nazionale.