Anche questa settimana il governatore Schifani ha avuto la sua medaglia: con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, infatti, è stato nominato Commissario straordinario per il completamento della rete impiantistica integrata del sistema di gestione dei rifiuti. Significa che potrà fare i termovalorizzatori, o meglio, accelerare la pratica di realizzazione degli impianti che le opposizioni, e soprattutto gli ambientalisti, aberrano. Questo incarico, inoltre, significa aver assunto ulteriore centralità rispetto ai processi decisionali che – altrimenti – rischierebbero di andare per le lunghe. Ma i poteri speciali hanno una valenza ulteriore: cioè poter gestire in prima persona un iter articolato, che altrimenti avrebbe richiesto il coinvolgimento diretto di altri attori, fra cui il “temuto” assessore all’Energia: Roberto Di Mauro.

Di Mauro era stato il primo a sollevare dubbi di natura tecnica, ma anche di sostenibilità finanziaria, rispetto alla scelta di Musumeci di realizzare i due termovalorizzatori in project financing (cioè facendo cacciare i soldi alle imprese, che avrebbero tratto profitto da una gestione pluriennale delle opere). La sua posizione non si è ammorbidita granché negli ultimi tempi, anche se il piano di Schifani – che ha abbandonato l’idea del progetto di finanza e si è ritagliato 800 milioni d’investimento a valere sui Fondi di sviluppo e coesione (Fsc) – ha finito per convincerlo. Eppure era stato il governatore, in un vertice con Salvini che aveva indisposto Raffaele Lombardo, a chiedere di depotenziare l’assessore, soffiandogli la parte delle competenze sugli inceneritori. Ha trovato un’altra formula, quella del commissariamento, e alla fine c’è riuscito: proprio come accaduto con Falcone, il quale è stato privato – all’epoca anche nella forma – della delega alla Programmazione.

Insomma, ogni qual volta Schifani trova un potenziale ostacolo sulla propria strada, sceglie di indebolirlo. E’ accaduto coi termovalorizzatori e coi fondi europei, ma anche con la sanità. L’idea di dover mettere a disposizione degli alleati una posizione di potere così ghiotta (il settore vale 9 miliardi l’anno, una grossa fetta del bilancio regionale) ha convinto il presidente a scegliersi un assessore che potesse facilmente “indirizzare”, senza subire la carica dei partiti. Così si è affidato all’impalpabile Giovanna Volo, che risulta tuttora l’inquilina di piazza Ottavio Ziino, sede dell’assessorato. La Volo non fa praticamente nulla, se non firmare i decreti e rispondere alle interrogazioni parlamentari: ha posto il sigillo persino sulle nomine dei manager, che però non sono dipese in alcun modo da lei. Ma è stato questo, per Schifani, l’unico modo per mantenere il controllo di un asset prezioso. Metterlo a disposizione di qualcuno della sua maggioranza (Micciché e i patrioti ci speravano) avrebbe significato offrire una leva di potere a un alleato che, presto, si sarebbe rivelato un rivale.

Stesso schema all’Asp di Palermo, dove, nonostante i fallimenti, è stata confermata al vertice Daniela Faraoni. Non è bastato aver posticipato di mesi i termini di pagamento nei confronti dei privati convenzionati (nonostante precise direttive da parte dell’assessorato) o altre pecche sui concorsi, per consentire alla sanità palermitana di liberarsi di una zavorra e fare un passo avanti. Dietro la porta di Schifani c’era la fila per aggiudicarsi la guida dell’Azienda più ricca della Sicilia. Ma è proprio questo ad aver bloccato il presidente: perché dare spazio a qualcun altro? Non avrebbe finito per limitare il suo range d’azione e le sue prerogative di comando? E così, avanti con la Faraoni, che pure aveva “corteggiatori” e richieste per trasferirsi a Catania.

Quello applicato alla sanità è lo stesso metodo che Schifani ha usato coi termovalorizzatori. Peccato che, come emerge da un’inchiesta de ‘La Sicilia’, cominciare a muovere i fili per la realizzazione degli impianti sarà più difficile del previsto. Bisogna infatti attendere che il Dipartimento Ambiente trasmetta il piano regionale dei rifiuti alla giunta per un apprezzamento, e poi, a seguito di consultazione pubblica, alla Commissione Tecnico Scientifica guidata da Gaetano Armao per ottenerne la valutazione. Come se non bastasse occorrono pure un paio di pareri (dal Cga e dall’Ufficio legislativo e legale della Regione) e un passaggio in aula (obbligatorio non vincolante). Solo per avere le carte in regola, si rischia di dover attendere la fine del prossimo autunno. Probabilmente il governatore finirà per nominare come subcommissario lo stesso Di Mauro, in modo da non scombinare i già fragili equilibri con il Mpa. Ma non cambierà la sostanza: c’è un solo padrone che esercita il controllo. Il padrone del vapore, se non dovesse quagliare nulla.

Un altro esempio emblematico di accentramento dei poteri, proviene dalla Sicilia orientale. La Sac di Catania è appannaggio della “sua” Forza Italia: l’Amministratore delegato Nico Torrisi è vicino a Nicola D’Agostino (deputato azzurro all’Ars); così come Antonio Belcuore, amministratore della Camera di Commercio, che detiene il 61% della società che stabilirà le sorti di Fontanarossa (che in teoria si appresta ad essere privatizzata). Sull’organizzazione territoriale della CamCom, che abbraccia anche le province di Ragusa e Siracusa, Schifani si è speso con forza, andando contro le teorie del Ministro Urso e dello stesso Falcone, che si erano opposti invano alla nuova geografia (quest’ultimo aveva votato contro in giunta). Deciderà la Corte Costituzionale. Ma al netto di ciò che verrà stabilito dai magistrati, non passa inosservato il modus operandi. Sempre uguale.

Schifani ha ottenuto, oltre ai poteri speciali per i termovalorizzatori, anche quelli per completare i lavori di riqualificazione dell’autostrada Palermo-Catania. Non che dal giorno della sua nomina si sia mosso granché. I cantieri che c’erano sono rimasti e altri, come lo svincolo di Termini Imerese chiuso per tre mesi, minacciano la pazienza degli automobilisti. Dal 4 marzo chiudono pure le due rampe di svincolo all’altezza di Enna. Segno che per completare i cantieri, in materia di infrastrutture e di monnezza, non serve un commissario ma un miracolo. Con buona pace dell’accentratore.