Tre anni fa, proprio in questi giorni, il virus Sars-CoV-2 veniva rilevato per la prima volta a Wuhan, in Cina. Nessuno poteva immaginare che per i successivi tre anni quell’agente patogeno avrebbe stravolto la vita di miliardi di persone, arrivando a diventare materia di confronto e scontro geopolitico. Oggi, con i timori generati dal contagio di massa in una Cina impaziente di riaprirsi al mondo, sembra di vivere un ricorso della storia. Proprio come in quelle prime confuse settimane, c’è un’assenza, un silenzio che si fa notare: quello dell’Organizzazione mondiale della Sanità, l’agenzia delle Nazioni Unite fondata nel 1948 con un obiettivo altissimo, “il raggiungimento da parte di tutte le popolazioni del livello più alto possibile di salute”, definita come “condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia o di infermità”.

Se nella prima fase della pandemia l’Oms era stata criticata da molti in Occidente per un atteggiamento giudicato troppo accomodante verso Pechino (accusata di aver comunicato tardi, poco e male i suoi dati), anche in questa fase l’agenzia sta fallendo nel far sentire la sua voce in modo chiaro e autorevole: l’ultima dichiarazione preoccupata del direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus risale al 21 dicembre, poi più nulla durante una settimana vissuta pericolosamente in Cina. Negli ultimi giorni ha twittato copiosamente, dagli auguri di buon Natale agli incontri con le autorità del Bangladesh o delle Barbados, ma non ha speso una parola sulla virata cinese dalla politica zero-Covid a quella del contagio totale. Qualcosa ha detto l’epidemiologa Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico per Covid-19 dell’Oms. L’esperta ha postato sul suo profilo Twitter un video in cui analizza le ragioni dell’esplosione dei contagi nel gigante asiatico, limitandosi a dare alla Cina suggerimenti generici per fronteggiare l’ondata (“aumentare la copertura vaccinale in coloro che sono più a rischio, over 60, immunodepressi, persone con patologie di base e operatori in prima linea”) senza tuttavia fornire indicazioni su spostamenti e profilassi. Continua sull’Huffington Post