Nonostante Omicron sia considerata alla stregua di una banalissima influenza (almeno per l’80% di chi è vaccinato), e nonostante la Regione, nei mesi scorsi, abbia messo a punto un’infinità di cantieri per dotare l’Isola di 317 nuovi posti letto, fra reparti intensiva e sub-intensiva, al 7 gennaio 2022 siamo l’unica regione italiana ad aver ripristinato gli ospedali da campo. Cioè le tende piazzate fuori dagli ospedali – quelli veri – per dare assistenza a chi non può accedere in pronto soccorso (sovraffollato) o in reparto (già saturo). E’ avvenuto all’ospedale Cervello di Palermo, dove una decina di lettighe sono state posizionate sotto il gonfiabile predisposto dai volontari dell’Anpas (e dopo la protesta inscenata dagli autisti soccorritori del 118, costretti in coda per ore coi pazienti a bordo). Ma anche a Villa Sofia, al Civico e persino all’ospedale di Partinico, nelle ultime ore, si è provveduto alla creazione di queste strutture temporanee. Ma come si è arrivati a tanto?

L’assessore Razza, scagliandosi contro i soliti uccelli del malaugurio, ha spiegato che l’allestimento degli ospedali da campo non è sintomo di impreparazione. Al contrario. Ma è strano che tutti i nosocomi, anche quelli riconvertiti in Covid Hospital (come al ‘Cervello’ o a Marsala) facciano segnare il sold-out quando non è stato ancora raggiunto il picco. Ciò significa, facendo due calcoli spiccioli, che da qui alle prossime due o tre settimane, la situazione potrebbe diventare ingestibile: per i positivi al Covid (anche i No Vax vanno curati), per chi soffre di altre patologie, ma anche per gli operatori sanitari che non sanno più che pesci pigliare.

Ma come si arriva agli ospedali mobili? Per rispondere a questa domanda bisogna partire da alcune osservazioni del dottor Francesco Vaia, direttore dell’istituto per le Malattie infettive ‘Lazzaro Spallanzani’ di Roma. Il quale ci spiega come la variante Omicron, che da alcune settimane spadroneggia in tutta Italia, “è poco patogena e presenta un’attenuazione della malattia. E non solo: quasi l’80% dei contagiati da Omicron è pauci o asintomatico. Tanto che all’Inmi (cioè l’ospedale Spallanzani) la maggior parte li trattiamo negli ambulatori e non ci sono ospedalizzati”. I soggetti investiti da Omicron, che avvertono i sintomi del raffreddore o del mal di gola, non necessitano di ricovero ospedaliero (basta un’aspirina, come ci insegna la scienza). L’assunto che ne consegue è che a determinare il default sanitario, nell’Isola come nel resto del Paese, è una quota rilevante di non vaccinati. Nel reparto di Anestesia e Rianimazione Covid dell’ospedale Cervello, come ci ha spiegato il primario Baldo Renda, si tratta di 13 pazienti sui 14 ricoverati. La quasi totalità. In Sicilia a non aver ancora ricevuto la prima dose di vaccino è il 14,48% della popolazione. Affidandoci ai dati ufficiali della Protezione Civile, tra i No Vax si registrano 15 ricoverati ogni 100 mila unità (nell’ultimo mese). Le ospedalizzazioni, in tutta Italia, si sono dimezzate rispetto a un anno fa. Possibile che i nostri ospedali non siano in grado di contenere, potenzialmente, un numero così risicato?

O è vero il contrario. Cioè che si abbonda coi ricoveri. Il dato nazionale rilevato da Agenas al 6 gennaio, parla di una percentuale di saturazione del 16% nei reparti di terapia intensiva e del 22% nei reparti d’area medica (non critica). In Sicilia siamo rispettivamente al 14 e al 26. Questo secondo numero, in effetti, fa un po’ riflettere. Negli ultimi giorni i ricoveri ordinari proseguono incessanti. Ripartendo dalla premessa iniziale – cioè che Omicron fa meno male – come si spiega questo dato? Forse dalla circolazione, ancora accentuata, della variante Delta, che è più virulenta di Omicron e comporta tempi di ripresa più lunga. Questa, però, è un’ipotesi che va confermata. Morigerare la quota dei ricoveri ‘necessari’, però, è fondamentale per consentire l’accesso alle cure anche i pazienti extra-Covid. Gli oncologici, ad esempio. Riconvertire interamente una struttura, come al ‘Cervello’, destabilizza i malati e innesca un cortocircuito che rischia di farci sprofondare.

Anche perché – e qui entriamo nell’altro ramo della vicenda – in questi mesi si è fatto poco, o non abbastanza, per potenziare la rete ospedaliera siciliana. In base alle risorse messe a disposizione da Roma (128 milioni), la struttura commissariale per l’emergenza Covid, guidata dal presidente della Regione Nello Musumeci, aveva preventivato l’apertura di 69 cantieri per la realizzazione di 317 posti letto ulteriori di intensiva e sub-intensiva. Ciò sarebbe servito (anche) in funzione di una recrudescenza della pandemia. Il sito che mostra i progressi di questo lavoro è rimasto fermo al 31 agosto. I numeri, però, parlano chiaro: fin qui sono stati ultimati 95 posti letto, di cui 69 in terapia intensiva e 26 in sub-intensiva. Soltanto 7 cantieri risultano completi. Il cronoprogramma, come si evidenzia da un comunicato della Regione dello scorso 21 ottobre, prevedeva la messa a regime di altre 194 unità entro la fine del 2021, fino a ricoprire la metà del target previsto. Ma niente. L’unica notizia recente riguarda l’inaugurazione di quattro posti letto nel reparto di Terapia intensiva all’ospedale Basso-Ragusa di Militello val di Catania, il paese d’origine del governatore. Che, in verità, non rientra nemmeno fra gli interventi previsti dal piano. E non c’entra col Covid.

Tra i nosocomi che necessitano di interventi c’è anche il Policlinico Martino di Messina (già destinatario di un primo ampliamento da 15 letti), dove la settimana scorsa l’ex deputato regionale Franco De Domenico (oggi responsabile del dipartimento Salute del Pd Sicilia) ha evidenziato come a fronte di 28 posti potenziali, sia possibile garantire appena 12 ricoveri perché “mancano gli anestesisti”. Nelle ultime ore è stato anche il sindaco della città peloritana, Cateno De Luca, a evidenziare che “non ci sono più posti letto per i ricoveri”, arrivando a chiedere l’istituzione della zona rossa. Perché non pensare, invece, a un ospedale da campo? Chiaramente si tratta di una provocazione. Ma vista l’incidenza delle tensostrutture fra il ‘Cervello’ e Partinico, non è detto che la creazione di nuove unità mobili non rientri fra le prerogative della Regione.

Il commissario Covid per la provincia di Palermo, Renato Costa, le ha salutate con entusiasmo: “Queste ulteriori misure permetteranno di affrontare i prossimi giorni con maggiore serenità, in attesa del raggiungimento del picco, che ci auguriamo possa essere tra circa due settimane. Per fortuna, però, va detto che la condizione epidemiologica è migliore rispetto al passato: abbiamo un minor numero di morti, le terapie intensive non sono sotto pressione come l’anno scorso, la percentuale di vaccinati ci sta aiutando”. Fatta questa premessa, perché le tende? Il suo omologo Pino Liberti, a Catania, fa sapere che “cercheremo di evitare i gonfiabili, ma da una riunione con i direttori generali convocata per le prossime ore dovranno saltare fuori almeno 70-80 posti”. Facile non è. A Partinico la protezione civile ha già montato un ospedale da campo. Una decisione improcrastinabile, stando alle parole di Vincenzo Provenzano, direttore medico del Covid Hospital ormai sold-out: “Stiamo riempiendo tutto, arrivano da ogni parte. Sembra di essere guerra”.

Con questa prospettiva, qui e altrove, sarà un gennaio caldissimo. Restano sullo sfondo alcune domande: com’è stato possibile, dopo due anni di pandemia, arrivare a tanto? Che fine ha fatto la medicina territoriale, che avrebbe dovuto alleggerire la tenuta degli ospedali? Perché i medici di medicina generale, assediati per il rilascio dei certificati di fine quarantena, sono stati coinvolti in maniera così dozzinale nella gestione dell’emergenza? Al netto delle farmacie e dei laboratori privati, che tengono botta coi tamponi, il resto del panorama è desolante. “La notizia della protesta delle ambulanze a Palermo e delle tensostrutture installate in diversi ospedali dell’isola, ha fatto il giro d’Italia – dice Giuseppe Lupo, capogruppo del Partito Democratico all’Ars – e come se non bastasse ci sono le Usca in tilt, sindaci senza sostegno né strumenti per evitare la zona arancione nei loro comuni, migliaia di siciliani in casa in attesa di poter fare un tampone, medici di famiglia sotto pressione. Una situazione inaccettabile dovuta non solo alla pandemia ma soprattutto all’incapacità del governo Musumeci nella gestione dell’emergenza Covid”.

LE CONTROMOSSE DELL’ASSESSORATO

La Regione corre ai ripari. Per venire incontro alla saturazione degli ospedali, nel corso di un vertice allargato coi manager della sanità, l’assessore alla Salute, Ruggero Razza, ha dato disposizione di riconvertire – già da lunedì – 634 posti letto, di cui 500 nelle strutture pubbliche e 150 in quelle convenzionate (dove finiranno i pazienti ‘sfrattati’ dai reparti in via di riconversione). Nel dettaglio, 178 riguardano la provincia di Palermo, 170 Catania e un centinaio a Messina. “Con la variante Delta – ha spiegato Razza – il rapporto fra positivi e ricoverati era del 10 per cento, mentre con Omicron è di appena l’uno per cento. Ma l’uno per cento di centomila è un numero pesante”. Anche al Cannizzaro di Catania, nelle ultime ore, “non ci sono più nemmeno postazioni per l’ossigeno al pronto soccorso” spiega il primario di Pneumologia, Sandro Distefano. Nei reparti d’area medica destinati al Covid rimane appena il 10 per cento di posti disponibili. In Rianimazione ne restano 70 su 204. Scende in campo anche Aiop Sicilia, che raccoglie le 54 cliniche convenzionate: “Abbiamo messo a disposizione la nostra rete di circa 4.500 posti letto per accogliere i pazienti dei reparti riconvertiti — dice la presidente nazionale Barbara Cittadini a Repubblica — Siamo disposti a differire i ricoveri programmati per dare priorità assoluta ai pazienti che arrivano dagli ospedali. Lavoriamo in piena sinergia con il servizio sanitario pubblico”.