A Catania sono scattate 76 denunce per la percezione indebita del reddito di cittadinanza. Il sussidio, da aprile 2019, era finito in mano a venticinque persone già condannate per mafia (un reato che esclude automaticamente dalla platea dei beneficiari). Le altre 51, comprese 46 donne, hanno ottenuto l’assegno omettendo di comunicare che nel proprio nucleo familiare c’era anche un congiunto condannato definitivamente per associazione mafiosa.

Tra i beneficiari sono stati identificati ‘uomini d’onore’ e affiliati di diverse cosche mafiose attive nel capoluogo etneo e in provincia. I più numerosi, una cinquantina circa, sono risultati essere quelli della ‘famiglia’ Santapaola-Ercolano di Cosa Nostra. Ma ci sono anche esponenti dei clan Mazzei, Cappello, Laudani, Cursoti Milanesi, Pillera, Scalisi e Santangelo-Taccuni. Dalle indagini è emerso che l’importo complessivo finora riscosso indebitamente è di oltre 600 mila euro. La Procura ha interessato l’Inps per l’immediata revoca del Reddito di cittadinanza, con efficacia retroattiva, per tutti i 76 denunciati, e l’avvio delle necessarie procedure di restituzione dei soldi.

E’ l’ennesimo scandalo col reddito di cittadinanza come protagonista. Ieri la Guardia di finanza di Palermo aveva eseguito quindici misure cautelari (tra cui dieci palermitani e cinque napoletani) nei confronti dei componenti di un’organizzazione criminale che contrabbandava sigarette fra Napoli e Palermo. I finanzieri, guidati dal colonnello Alessandro Coscarelli e coordinati dal sostituto procuratore Giorgia Spiri, hanno scoperto una banda che dal novembre del 2019 al maggio 2020, è riuscita a far arrivare a Palermo cinque tonnellate e mezzo di “bionde” senza i timbri del monopolio di Stato.

I reati contestati a vario titolo sono associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di sigarette e traffico di stupefacenti. In una spedizione i finanzieri hanno trovato un chilo di hashish. Il gip di Palermo ha disposto anche il sequestro di due magazzini nella zona di Corso dei Mille-Brancaccio dove il gruppo custodiva le stecche di sigarette che poi venivano vendute dagli ambulanti abusivi nei quartieri palermitani dello Zen, a Bonagia, a Brancaccio, a Borgo Nuovo e nelle borgate marinare dell’Arenella, Acquasanta e Vergine Maria. Un traffico di tabacchi che in sette mesi ha prodotto un giro d’affari di 2,4 milioni di euro.

Ma la beffa più clamorosa, che allunga lo scandalo fino ai palazzi della politica, è che molti dei contrabbandieri fossero in possesso del reddito di cittadinanza. Come accade ormai da due anni, è assai facile per chi ha intenti criminali continuare a coltivarli grazie allo “schermo” del reddito, a cui è facile accedere senza controlli preventivi in grado di mitigare i potenziali danni all’erario. Questo è l’ultimo caso, ma non sono mancati nei mesi scorsi gli esempi più clamorosi, compresi boss e picciotti di mafia che grazie al sussidio, introdotto dal primo governo Conte, hanno continuato a godere di tutti i benefici del loro status finché le forze dell’ordine non sono piombate sulle loro tracce. Quando la truffa, però, era ormai bell’e andata.