Un’interrogazione orale, un paio di proposte di risoluzione, qualche contributo alle discussioni in aula: è il magro bottino di Caterina Chinnici al parlamento europeo negli ultimi tre anni. Non c’è nulla da scandalizzarsi se Forza Italia l’ha accolta. Chi non conosce a fondo la politica, forse, fatica a capire. Ma la magistrata, la cui storia personale e familiare è segnata dal dolore (per la perdita del padre Rocco, ucciso da Cosa Nostra), è garanzia di rettitudine e di lotta alla mafia.

Sebbene l’impegno fra Strasburgo e Bruxelles non sia soltanto rappresentanza o testimonianza, la Chinnici merita il seggio che ricopre: alle ultime elezioni ha ottenuto 113 mila preferenze, anche se la ricaduta di questi voti sul territorio è prossima allo zero. La parola ‘Sicilia’ non compare praticamente mai sugli atti parlamentari che la riguardano. L’indipendente Chinnici, eletta nella circoscrizione Isole col Pd, prima di lasciare i Socialisti e approdare tra le file del Ppe, salendo sul taxi di Forza Italia, ha presentato l’ultima proposta di risoluzione nell’aprile 2022: riguardava la protezione dell’UE nei confronti dei minori e dei giovani in fuga dalla guerra in Ucraina. Chapeau. Ma il punto è un altro: non riuscire a offrire alcun beneficio – per gli strani meccanismi dell’Europa, che non assegnano al parlamento un ruolo decisionale, o più semplicemente per una questione di scarsa attitudine – a chi ha scritto il tuo nome sulla scheda elettorale. O al partito che ti ha “imbarcato”, garantendoti un discreto effetto-trascinamento. Tutt’altro.

Oggi il Pd si ritrova con un solo parlamentare, Pietro Bartolo, anch’egli eletto grazie alla sua fama (è stato il medico di Lampedusa che ha avuto a che fare coi migranti). Questa non è una colpa, ma esige quanto meno una riflessione: sul ruolo del deputato europeo, sui requisiti adottati dai partiti al momento della compilazione delle liste (il 2024 è dietro l’angolo) e sul dorato prepensionamento che le istituzioni europee – non sempre, ma di frequente – offrono a personaggi noti, che spesso rafforzano, o sublimano, fra Bruxelles e Strasburgo la loro carriera di professionisti dell’Antimafia. Prima della Chinnici hanno bazzicato gli stessi corridoi, profumati, magnificenti anche Rita Borsellino e Sonia Alfano.

L’eurodeputata fresca di adesione a FI, per un paio di volte s’è ritrovata in prima fila, con un ruolo politico, e ha fallito: da assessore del governo Lombardo, quando scelse di dimettersi per ricoprire un altro incarico al Ministero della Giustizia (era il 2012); e da candidata alla presidenza della Regione siciliana, la scorsa estate, quando guidò la coalizione progressista (senza Cinque Stelle) per fare un piacere ad Enrico Letta. Prima di dissolversi come burro. Una campagna elettorale sottotono, senza entrare mai nei temi e negli scandali che ammorbavano (e ammorbano tuttora) la Regione. Come se quel cognome fosse dispensato dalla critica e dalla proposta politica, ché già ci pensava la storia.

L’impresa del governo sarebbe stata troppo anche per lei. E così, dal 26 settembre, dopo non aver allestito neppure un comitato elettorale per seguire i risultati del voto ed essersi piazzata terza (dietro Schifani e De Luca), la Chinnici si è defilata: “Congratulazioni e buon lavoro a Renato Schifani. Dopo la fine del patto delle primarie, sfida difficilissima che ho affrontato con coraggio e determinazione, ringrazio i tanti siciliani che con il loro voto hanno espresso fiducia in me”. E’ questo l’ultimo messaggio affidato al suo profilo ‘presidenziale’, su Facebook, che ancora conta un discreto numero di followers. Non che la sua pagina personale sia aggiornata in tempo reale: non si dà nemmeno notizia del suo passaggio in Forza Italia, avvenuto materialmente venerdì scorso durante la convention dei berluscones a Milano. Ad accoglierla Antonio Tajani e Rita Dalla Chiesa, che non avendo altri argomenti su cui puntare, sono andati sul classico: la lotta alla mafia.

Eppure la Chinnici vanta un bel numero di assistenti (dodici) fra Strasburgo e la Sicilia: possibile che nessuno riesca a dare forma a una comunicazione, anche sterile, sul suo operato in Europa? Forse perché non c’è niente da dire o da rilevare, foss’anche un pensiero critico? Gli altri parlamentari, almeno, ci provano. Compresi quelli divenuti più periferici, come Ignazio Corrao e Dino Giarrusso, dopo aver lasciato il Movimento 5 Stelle. O la Tardino, neo segretaria leghista, molto attiva sui social. Passando per la Donato, che di recente è approdata alla DC Nuova di Totò Cuffaro. Intervengono tutti: da un lato per giustificare la propria presenza, dall’altro per rilanciare le proprie velleità in vista del prossimo giro. Alla Chinnici non serve. Il suo approdo in Forza Italia non darà al partito alcun valore aggiunto sotto il profilo politico o di know-how in tema di questioni comunitarie. Tutt’al più potrebbe garantirgli, come spera Tajani, un lieve incremento percentuale. Ma soprattutto un restyling complessivo sul tema della giustizia: non sarà più (soltanto) la creatura di Berlusconi e Dell’Utri, e delle leggi ad personam, argomento che i Cinque Stelle e alcuni giornali tirano puntualmente fuori in maniera sprezzante. Sarà, anche, il partito di Caterina Chinnici, o “la famiglia di valori” che ha già stregato Giancarlo Cancelleri, costretto ad abbandonare i toni del barricadero forcaiolo ch’era prima.

L’operazione, però, servirà anche per garantire alla Chinnici il terzo mandato nel cuore dell’Europa. Con la solita routine (i convegni, gli incontri con le scuole ecc. ecc.) e al riparo da sguardi indiscreti, da chi fa domande e da chi esige risposte (i cittadini). La politica ci guadagnerà in immagine e stile, ma forse non sarà più politica. E’ Strasburgo, bellezza.