Hanno provato ad apparire consapevoli della gravità dei problemi da affrontare e della solennità del momento nel quale la nuova giunta e la nuova legislatura stanno per prendere il via.

Hanno cercato di assumere le sembianze di politici responsabili.

Alcuni di loro provengono da una lunga tradizione, tutti hanno tentato di essere all’altezza del momento, della austerità del luogo, della storia che trasuda dalle sue pareti, che fu, almeno secondo una consueta retorica, la sede del primo Parlamento del mondo.

Schifani ha voluto dare il senso e la direzione dell’azione di governo.

Ci ha provato, non so quanto consapevole di avere per le mani uno strumento inadeguato, arrugginito, simile ad una macchina d’epoca piuttosto che a un veicolo moderno, e senza carburante per giunta.

Tralasciando il merito delle proposte e la buona volontà del nuovo presidente della Regione, quello doveva essere un giorno importante in cui la maggioranza e le opposizioni si sarebbero dovute confrontare sul programma, che in teoria ha un orizzonte temporale di cinque anni, un cammino lungo da percorrere, e ciascuno per la propria parte dovrà dimostrare di essere in grado di superare enormi ostacoli e problemi gravissimi.

Con quel vecchio trabiccolo che è divenuta la Regione con i suoi logori apparati, il barocchismo delle procedure, la marginalità del ruolo in un mondo globalizzato nel quale la politica, anche quella degli Stati, non riesce più ad avere la guida dei processi, immaginate come si possa affrontare la crisi della nostra Isola e la sua progressiva esclusione dallo sviluppo economico del resto d’Italia con gli strumenti propri dell’autonomia.

Al di là di queste considerazioni, il dibattito sulle dichiarazioni programmatiche si è trasformato in una divertente recita, in una rappresentazione da Opera dei Pupi.

La crisi dell’Isola, nella sua drammaticità, è stata ricordata di recente dallo Svimez e il presidente della Regione non l’ha ignorata.

Altro discorso è quello che riguarda l’efficacia delle ricette indicate e un ottimismo forse eccessivo. Quelle dichiarazioni e il confronto d’aula che ne è seguito, sono stati oscurati dalla recita, giusto da Opera dei Pupi, un genere teatrale di tutto rispetto e impegnativo, che, a Sala d’Ercole, è stato ottimamente messo in scena.

Una vera pupiata, che magari non ha avuto la stessa efficacia di quella di Cuticchio e i cui interpreti non sono cavalieri senza macchia e senza paura come i protagonisti della Chanson de geste: frutto di fantasia questi, personaggi veri, se pur privi di spessore, i nostri “commedianti”.

Quale rilevanza politica può avere il feroce contrasto che oppone Schifani a Miccichè o la disfida tra Forza Italia 1 e Forza Italia 2, se la politica si riferisce alla polis e al suo governo?

Quale interesse possono suscitare tra la gente di Sicilia le vicende che si svolgono all’interno del “teatrino” delle istituzioni isolane?

Non si capisce, e per la verità non c’è interesse a capirlo, su quali diverse “visioni” – termine più volte richiamato da Miccichè nel suo spumeggiante intervento – si svolge il duello tra quest’ultimo e il presidente della Regione.

Può suscitare curiosità e qualche sorriso il contrasto tra l’aplomb di Schifani e l’effervescenza dell’ex presidente dell’Assemblea, tra il linguaggio aulico del primo e il ricorso ad un vocabolario inconsueto per un’aula parlamentare del secondo, che comunque dà prova di un carattere deciso ed esprime la sua insopprimibile voglia di protagonismo.

Non può nascondere, comunque, le ferite che gli sono state inferte in una battaglia dalla quale è uscito perdente e che tuttavia non gli ha tolto la voglia di continuare a combattere.

Dichiara di far parte della maggioranza, Miccichè, ed occupa quasi per intero spazio e ruolo dell’opposizione.

Ad essa, per riprendere l’Opera dei Pupi, come Gano di Magonza – non se ne avrà a male, per il riferimento letterario non molto lusinghiero, Miccichè -, indica alle opposizioni il passo di Roncisvalle dove sferrare l’attacco, ma esse hanno armi spuntate e nessuna voglia di cogliere l’opportunità.

Comincia così la nuova legislatura, con il gioco di fuoco del pupillo di Berlusconi e i petardi con i quali De Luca segnala che lui c’è e, se hanno bisogno, sanno dove trovarlo.

Si comincia con una minoranza silente e divisa e con le possibili scomposizione e “transumanza” all’interno della maggioranza.

Non è passato molto tempo da quando, in parecchi, si sono affrettati a salire sul carro  della Lega che appariva vincente.

Le elezioni comunali di Palermo, quelle nazionali e quelle regionali hanno reso evidente trattarsi di un carretto, e per giunta con l’asse storto.

In queste condizioni è difficile pensare che ci possa essere una maggioranza coesa a sostegno del governo e che si possa sviluppare un confronto efficace tra le diverse posizioni politiche.

I partiti non hanno la forza per tenere insieme ed orientare i loro rappresentanti in Assemblea, ancor più non sono interessati a porre attenzione sui problemi reali dell’Isola, ridotti come sono a gruppi di potere dagli incerti, cangianti profili.

Dopo aver preso atto che il carro della Lega non può garantire il trasporto per tutti coloro che vi sono saliti e che Forza Italia, anche in Sicilia, dove aveva mantenuto un apprezzabile consenso, è in crisi, squassata anche da un forte contrasto interno, dove si va?

Dove si trova un nuovo tetto sotto il quale ripararsi?

Non è proprio il caso di parlare di coerenza e di valori.

Qui c’è ben altro, c’è la necessità di tutelarsi, di garantirsi l’avvenire.

E vi pare poco? È proprio tutto o quasi, per molti degli ospiti di Sala d’Ercole. Del resto la politica, la coerenza non suscitano interesse neppure tra la gente, che tollera tutto, tutto giustifica, indifferente e a volte solidale per un sentire comune con i campioni delle capriole e del salto della quaglia.

Dove si va?

La bussola non indica con chiarezza la direzione, tranne quella del partito di Meloni, che potrebbe pure lievitare oltre misura, col rischio di esplodere per i conflitti provocati dal sovraffollamento.

C’è tempo per trovare un rifugio.

Ma intanto nella stiva delle navi che rischiano il naufragio, in particolare in quella al cui timone rimane il “Comandante” e nell’altra, numerata 1 e 2, sono già cominciati il “si salvi chi può” e la resa dei conti.