Dalle nebbie delle variazioni di Bilancio è ricomparso un carrozzone: trattasi di Sicilia Digitale, la partecipata regionale – nata nel 2001 come soggetto misto pubblico/privato, e divenuto in seguito una società in house – che “ha per oggetto la progettazione, la realizzazione e la gestione di sistemi e servizi informatici e telematici” a favore della Regione medesima. E’ la prosecuzione materiale di Sicilia e-Servizi, che Crocetta aveva provato a far risorgere designando un amministratore unico di prestigio: Antonio Ingroia. Ma che tuttora rappresenta una palla al piede per palazzo d’Orleans e, a cascata, per l’Assemblea regionale. Come nel caso di specie: un pignoramento da parte degli ex soci privati di Sicilia Digitale, Engineering S.p.A. e Accenture Italia S.p.A., che rischia di mandare il carrozzone gambe all’aria.

La richiesta (inderogabile) è di 12,3 milioni di euro. A seguito di una sentenza passata in giudicato del 2018, in cui il Tribunale Civile di Palermo ha imposto alla società il pagamento di 28,5 milioni di euro che la stessa Sicilia Digitale aveva deciso, in accordo con gli ex soci, di pagare in tredici rate dietro la rinuncia sugli interessi (9 milioni circa). Solo che i soldi sono finiti, i pagamenti si sono interrotti alla quinta rata e oggi Engineering e Accenture hanno formulato una richiesta di pignoramento per recuperare il bottino. L’unico rimedio, per la Regione, è (ri)metterci i soldi di tasca propria: è quanto avvenuto con le variazioni di Bilancio portate in aula dal governo. Per un attimo la questione si era scontrata con un’altra impellenza: gli enti locali. Il deputato di Italia Viva e sindaco di Brolo, Pippo Laccoto, ha presentato un emendamento affinché le somme destinate a Sicilia Digitale venissero stornate per rimpinguare il capitolo dei trasferimenti ai Comuni, che aveva subito un taglio di 10 milioni rispetto al passato. Per fortuna degli informatici, non è stato necessario.

Resta un dato di fatto: che Sicilia Digitale è in crisi, ha i conti corrente bloccati, non riceve più una commessa da parte della Regione (gli ultimi click day – fallimentari – erano stati affidati a società esterne), i lavoratori non hanno il necessario know-how per affrontare la sfida dei tempi e, soprattutto, numerosi servizi sono a rischio. Tra quelli gestiti dalla società, infatti, ci sono la piattaforma per lo smart working, il protocollo informatico, la compilazione delle buste paga per i medici di medicina generale e dei dipendenti regionali, ma anche la gestione delle centrali del 118. Se il pignoramento avesse – come esito – il fallimento di Sicilia Digitale, sarebbe la paralisi. Lo ha ammesso anche Armao, che ha aggiunto un dettaglio alla questione: la società non potrebbe essere ricostituita per i cinque anni successivi, né la Regione potrà acquisire o mantenere partecipazioni in società che gestiscano gli stessi servizi di quella dichiarata fallita. Un cappio al collo, in pratica.

“Si è persa di vista la mission”, ha detto in aula il capogruppo del Pd, Giuseppe Lupo. “Questo – ha aggiunto il deputato del M5s, Nuccio Di Paola – è la diretta conseguenza dell’operato dei burocrati, che avrebbero dovuto sanare la questione mesi fa. E’ giusto salvare la partecipata e il lavoro dei suoi dipendenti (un centinaio, ndr) ma anche la Regione ha un debito nei confronti della partecipata”. Secondo l’ultimo rapporto del grillino Luigi Sunseri, ammonta a 92,5 milioni di euro. Di cui una parte già oggetto di decreti ingiuntivi notificati a palazzo d’Orleans. Di quelle cifre, però, nessuno si è mai fatto carico. Finché la bomba, in questi giorni, non ha rischiato di esplodere.

Circa un mesetto fa, i sindacati avevano lamentato l’abbandono da parte delle istituzioni: “Sicilia Digitale, che riteniamo essere azienda strategica per la Regione, gestisce buona parte del mondo informatico regionale ed è opportuno quindi sottolineare come oltre al problema economico ci siano forti preoccupazioni circa il futuro della stessa società”. Eppure l’impegno a risolvere “le questioni poste”, relative alla “strategicità dell’azienda”, sono rimaste nel campo degli annunci. Come spesso accade nell’ambito dei carrozzoni. A tal proposito, e sempre in riferimento a Sicilia Digitale, c’è un passaggio all’interno del Documento di Economia e Finanza regionale del 2020, in cui si legge che “per rafforzare le leve di azione di Agenda Digitale – in uno con il piano di razionalizzazione delle partecipazioni regionali – è allo studio una ipotesi di concentrazione societaria tra Sicilia Digitale S.p.A., Interporti S.p.A e Parco Scientifico e Tecnologico S.C.p.A., con il successivo coinvolgimento dell’Ufficio Speciale Centrale Unica di Committenza della regione siciliana, finalizzata alla creazione di una società in house in grado di progettare e gestire l’infrastrutturazione fisica e digitale della Regione siciliana, unitamente alla gestione aggregata degli acquisti di beni e servizi”. Un accorpamento fra carrozzoni, richiamato anche dall’accordo Stato-Regione del 14 gennaio scorso, di cui però si sono perse le tracce.

Sarebbe stato un modo per salvare la società, riducendo i costi e migliorandone l’efficienza. Di questa favola senza lieto fine, invece, rimangono poche righe all’interno di un disegno di legge altrimenti poco emozionante. “Al fine di consentire il superamento delle questioni insorte a seguito delle procedure esecutive intraprese da Engineering S.p.A. e Accenture Italia S.p.A. (…) e per garantire la continuità funzionale di Sicilia Digitale S.p.A., il Dipartimento dell’autorità regionale per l’innovazione tecnologica (ARIT) è autorizzato a provvedere alla corresponsione nell’esercizio 2021, in favore delle predette società procedenti, rispettivamente la somma di euro 9,152.090,46 e di euro 3.189.754,62, corrispondente alla residua sorte capitale di cui alla citata sentenza n. 3769/2018 (…) e senza acquiescenza alcuna nei confronti di tutte le parti in giudizio”. Tanto paga Pantalone. Anche stavolta.