La sfida di respiro internazionale proposta dal Dipartimento di Studi Europei Jean Monnet, che dal febbraio 2022 lancia i corsi di laurea delle università partner anche a Palermo, approda all’Albergo delle Povere di corso Calatafimi, dove il 2 e 3 ottobre si terrà un appuntamento ribattezzato “Il patrimonio dei patrimoni”. Un gustoso antipasto di quello che verrà. Si tratta di un colloquio internazionale che ha come obiettivo la creazione di un network di università europee e mediterranee che collaborino sui temi dell’internazionalizzazione del sapere, del patrimonio culturale comune, della fruizione sostenibile di un territorio e della creazione di una Scuola di Eccellenza del turismo e dell’hotellerie. Un progetto ambizioso di cui si fa portavoce il prof. Salvatore Messina, Academic Head di JM, che accoglierà in pompa magna i rappresentanti dei governi, delle università e della società civile di Tunisia, Marocco, Spagna, Francia, Svizzera, Croazia, Bosnia Erzegovina, Albania, Grecia, San Marino, Malta, India e Italia.

Il Dipartimento di Studi Europei Jean Monnet è la succursale svizzera della fondazione croata Zaklada Europa, che grazie all’accordo di collaborazione fra Italia e Bosnia, diventato legge (la n.14 del 2015), dispone che un titolo di studio rilasciato da un’università in Bosnia Erzegovina sia ammesso alla procedura di equipollenza diretta nel nostro Paese. Jean Monnet è apertura, inclusione: un nuovo modo di intendere l’università che, secondo Messina, “non può essere soltanto un’erogatrice di informazioni, ma una struttura che permette ai propri studenti di sapere, e soprattutto di saper fare”.

Lo studio applicato alla pratica.

“Noi diamo grande importanza alla parte pratica. I laureati che vengono fuori dai nostri corsi, devono essere pronti ad affrontare il mondo delle professioni. Devono possedere una conoscenza pratica, concreta, attiva. Devono avere una marcia in più”.

Per fare in modo che succeda, va innovato il metodo di apprendimento.

“La nostra attività si basa su questo. I docenti Jean Monnet sono professori universitari, ma anche professionisti di chiara fama. In ambito sanitario insegnano anche i primari di strutture ospedaliere. Vogliamo che questa sintesi fra teoria e pratica sia realizzabile ogni volta”.

Perché è importante l’evento del 2-3 ottobre?

“Perché presentiamo quattro progetti che hanno già destato l’attenzione di una platea internazionale in occasione di un convegno fatto ad Ambelia il 3 luglio scorso. Vogliamo realizzare un network di attrattori culturali del Mediterraneo. Oggi c’è una richiesta sempre maggiore di valorizzazione delle risorse endogene. Ma al di là delle dichiarazioni d’intenti – della serie, “vogliamo fare questo” – siamo ancora lontani dal definire scientificamente come va fatto. Molti si muovono nella logica delle intuizioni personali o dell’attivazione empirica dei percorsi. Noi, invece, abbiamo definito un modello, in collaborazione con i partner provenienti da 14 Paesi stranieri, per mostrare ai nostri studenti che quando parliamo di economia, di sviluppo, di cultura materiale e immateriale, di formazione, lo facciamo abbinando i due emisferi: sapere e saper fare”.

Quali sono i partner che interverranno all’Albergo delle Povere?

“Ministri, ambasciatori, rettori universitari, alti rappresentanti della società civile europea e mediterranea. C’è un grande interesse nella definizione di metodologie e strumenti che già sono stati sperimentati altrove. Perché qui non bisogna inventarsi nulla, ma prendere il meglio dalle esperienze migliori. L’attività di questi due giorni sarà coordinata dal prof. Mounir Bouchenaki, che è stato il Direttore del patrimonio culturale dell’Unesco, il quale sarà coadiuvato dal prof. Antonio Lampis, già direttore generale dei musei del Ministero delle Cultura, attuale direttore del Dipartimento di cultura italiana nella provincia autonoma di Bolzano. Ci saranno, inoltre, tutti i coordinatori che partecipano alla realizzazione dei 99 corsi universitari programmati nell’anno accademico 2021-22 che inizierà il 1° Febbraio 2022”.

Oltre ad aver appreso le buone pratiche, i vostri studenti avranno una finestra sul mondo.

“I nostri studenti studiano in lingua italiana, con docenti di lingua italiana, per avere certezza dell’apprendimento. La visione internazionale è data dalla collaborazione di 14 università estere. Non è il classico studente che ha modo di fare esperienza in altri Paesi soltanto con l’Erasmus. Vogliamo che questo scambio di competenze e conoscenze avvenga costantemente, durante il percorso di studi, sia frequentando le lezioni teoriche che quelle pratiche. I nostri allievi partecipano a laboratori e progetti di ricerca appena iscritti, debbono respirare l’aria fresca della sperimentazione sul territorio e comprenderne bene i limiti, le difficoltà, ma anche le opportunità.”

In cosa consiste la creazione di una scuola d’eccellenza del turismo e dell’hotellerie?

“La priorità, oggi, è formare i lavoratori di domani. Se vogliamo farlo, dobbiamo prima interrogarci su quali sono le professioni richieste. Questo lavoro, purtroppo, non è stato ancora fatto sistematicamente”.

Ci faccia un esempio.

“Nei settori in grande crescita – la valorizzazione e gestione del
patrimonio culturale, ma anche il turismo e l’hotellerie – la formazione è stata parziale. Prima il museo era il punto d’accoglienza di un territorio, ma trovava di fronte a sé un pubblico motivato e colto che ricercava questo genere d’esperienza. Quello spirito, però, si è disperso. Abbiamo lasciato che i musei diventassero un magazzino ordinato di reperti. E spesso sono poco visitati perché chi ci lavora all’interno non ha alcuna competenza di marketing e comunicazione. Noi vogliamo andare oltre. Vogliamo che i lavoratori della cultura apprendano ad essere protagonisti dell’offerta culturale di un museo o di un territorio. E fare in modo che i beni culturali, assieme alla piccola impresa e all’agricoltura, diventino l’asse portante di questa terra. Invece, ogni volta che si spengono le luci dei convegni, non succede niente”.

E sul turismo, invece, cosa non funziona?

“Abbiamo dimenticato la specificità delle tradizioni regionali. Il Covid, per fortuna, ha fatto anche qualcosa di buono: ci ha obbligato a ripensare l’offerta per soddisfare le aspettative della domanda. Il turista, il viaggiatore richiedono sempre più spesso un’esperienza sul territorio. Attraverso un progetto di sistema che definiremo a Palermo assieme ai nostri partner – dal nome EuroMedLife – vogliamo mostrare, presentare, condurre le persone nella vita quotidiana dello spazio euromediterraneo. E’ un piano, a geometria variabile, che prevede la possibilità di acquisire risorse, e approntare progetti a cui tutti i Paesi partecipano: sia in forma verticale, cioè mettendo a disposizione degli altri le proprie competenze culturali specifiche; che orizzontale, creando cioè un partenariato stabile locale. Dove trovano spazio imprenditori, pubbliche amministrazioni, università, società civile”.

Palermo è lo spazio in cui mettere a punto idee e buoni propositi. La renderete una specie di capitale della cultura, almeno per un paio di giorni.

“Vorrei che tutti quanti facessimo un passo indietro con gli slogan, a partire da chi ci rappresenta. Non siamo la capitale di niente. Forse abbiamo un primato internazionale che è quello della quantità di monnezza per km quadrato, ma di questo non possiamo andare fieri. La Sicilia, a partire dall’appuntamento del 2-3 ottobre, ha bisogno di un momento di riflessione e di proposta sul futuro dei giovani. Di recente ho letto un dato scioccante, pubblicato da Eurostat dell’11 Settembre 2021: il 44,56% dei siciliani dai 20 ai 64 anni non studia, non viene formato, non ricerca una formazione tanto meno un lavoro”.

Perché?

“Molti non hanno voglia di studiare… E spesso le modalità di interazione fra docente e classe non sono accettabili. Ma non possiamo abbandonare i ragazzi a loro stessi, altrimenti diventeranno manodopera della mafia e della criminalità. Per questo dobbiamo modificare l’approccio, riaffermare l’importanza del servizio pubblico. E’ possibile che i Cda dei parchi archeologici non abbiano una figura che si occupa di marketing, di rapporti col turismo e con la piccola impresa? E’ possibile che il marchio della Valle dei templi di Agrigento sia un brand così poco venduto nel resto del Mondo? Ci devono pensare Dolce&Gabbana o la Red Bull a sdoganarci ogni volta? Se pensiamo al patrimonio culturale come qualcosa di asettico, di distante da noi, non meravigliamoci se questi ragazzi, una volta diventati classe dirigente, non spenderanno un euro per finanziarlo… Lo ripeto: abbiamo un patrimonio culturale di grande pregio. Deve essere protetto, valorizzato, promosso, fruito; non dobbiamo permettere che venga dimenticato, ma è necessario che diventi di nuovo parte della nostra vita quotidiana”.