C’è un sottilissimo filo rosso che lega l’indagine sui concorsi truccati all’Università di Catania e il mega-scandalo del censimento da 91 milioni di euro alla Regione siciliana. E questo sottile filo rosso, un vero anello di congiunzione, è che se ne parli poco o nulla. Ambedue le questioni, come ha fatto notare, fra i pochissimi, il cronista di Repubblica Antonio Fraschilla (che le segue entrambe), sono accomunate da una scarsissima eco a livello nazionale.

Quello relativo all’ateneo catanese, uno dei più prestigiosi d’Italia, è caduto nel dimenticatoio a pochi mesi dallo scandalo, che ha portato alla luce un’inchiesta con 60 indagati, dopo che il Gip del tribunale di Catania ha interdetto dai pubblici uffici i due rettori uscenti, Basile e Pignataro, e otto docenti per aver contribuito – ognuno a modo proprio e grazie all’avallo di amici commissari – a truccare una trentina di concorsi interni. Secondo il report di Fraschilla, sabato scorso, sull’Espresso, Pignataro è ancora alla guida del nucleo di valutazione dei bilanci degli atenei, dove è stato nominato nel 2018 dalla ministra Valeria Fedeli. Nonostante il tonfo rumoroso di Catania. Che in realtà non fa ‘sto gran rrumore, perché il modus operandi sarebbe simile in molti atenei d’Italia, che al momento rimangono coperti. “Questa indagine sui concorsi truccati sembra non interessare a nessuno, dagli studenti al mondo universitario nazionale e alla politica tutta” sostiene Fraschilla. A conferma di questo parziale disinteresse, alla fine di agosto si sono tenute le elezioni per il nuovo magnifico rettore, che con un colpo di spugna sembrano aver cancellato Università Bandita. Buona fortuna al prof. Priolo, nella speranza che non incappi mai in vicissitudini di questo tipo e, anzi, orienti la sua azione verso la trasparenza più totale.

Anche a Palermo nelle ultime settimane ha regnato il silenzio attorno alla questione del censimento da 91 milioni, commissionato dalla Regione a Sicilia Patrimonio Immobiliare nel 2007, che nessuno ha mai visto. In pochi, tra cui Fraschilla e quei pennivendoli di Buttanissima, hanno provato a tirar fuori la verità dai cassetti impolverati. Non le antimafie, non le procure e nemmeno i giudici contabili. Forse – e sottolineiamo forse – qualcosina potrebbe muoversi in settimana, con la convocazione dell’assessore all’Economia, Gaetano Armao, in commissione Antimafia (sarà audito dal presidente Claudio Fava). Ma lo stesso Fraschilla, che da anni si batte per portare a casa un pezzetto di verità, per capire dove siano finiti quei soldi sporchi – se in Lussemburgo o altrove – e perché non sia stato possibile accedere ai dati di un server custodito dalla Regione, qualche tempo fa ha avuto modo di lamentarsi: “Su Repubblica in questi anni abbiamo scritto di tutto su questa vicenda nata con il governo Cuffaro, ma nessun partito e nessuna procura è mai intervenuta veramente. Dico anche per poi archiviare ma almeno per indagare. Un muro di gomma. Ma come è possibile che in una regione dove si grida giustamente allo scandalo anche per consulenze di pochi euro, poi su un censimento costato 90 milioni di euro e mai utilizzato né visto dalla Regione nessuno dica nulla… come è possibile?”. Purtroppo è possibile.