Pronta a sposare la causa delle domeniche da trascorrere a casa a spadellare per ovviare alla chiusura dei supermercati del centro e dei loro magici piatti pronti, ho fatto mente locale sulla questione, scoprendo di non conoscere nessuno che sia mai stato a casa in panciolle la domenica, da quando sono nata, e correvano gli Anni Sessanta. Mio padre era medico primario ospedaliero, ed era gran festa se arrivava a casa in tempo per scalcare la faraona natalizia, una volta all’anno. Il pomeriggio della domenica, mia madre usciva per la sua corvée di volontaria presso una casa di riposo per anziani (lo fa tuttora, e ha ottantasei anni: aiuta gli infermieri ad imboccare gente in media più giovane di lei di un decennio, e istruisce nuove generazioni di volontari).

Mio marito vive e lavora per buona parte del suo tempo all’estero da circa quattro decenni, e prende aerei e treni la domenica nel primo pomeriggio per poter raggiungere l’ufficio in tempo il lunedì. Quand’è a casa, lavora al pc, perché, con i fusi orari, la chiusura effettiva delle borse è davvero esigua. Io ho lavorato ai desk dei quotidiani per circa vent’anni, con la certezza di rimanere a casa solo il 25 e 31 dicembre e il 15 agosto, per altri cinque sono stata inviato, pronta a partire a comando. Negli anni radiofonici, ho lavorato sempre anche nelle festività.
Oggi che sono libera professionista e insegno in università, non ricordo una sola domenica trascorsa senza mettere mano alla tastiera per un articolo, o a una tesi o all’allestimento di una mostra o a un nuovo progetto.

Mia figlia è pubblicitaria per un’agenzia internazionale: nel week end, quando non deve gestire tempi e modi di una nuova campagna è in visita presso fiere, clienti, varie ed eventuali: tenersi “i budget” e possibilmente ampliarli, richiede infatti dedizione assoluta. Lavorando ormai molto e da molti anni nel settore della moda, vedo inoltre solo gente che lavora la domenica, e pure duro: autisti, fotografi, vestiariste, buyer, macchinisti, allestitori, buttafuori, addetti alla sicurezza e alle pulizie, per una trentina di domeniche all’anno su 52. A Milano, vivo sopra un ristorante molto frequentato che tiene aperto 360 giorni all’anno: una certezza per l’intero quartiere, così come il cinema Anteo, che sforna quelle fantastiche brioche la mattina della domenica, prima di farti accomodare in una delle tante sale, sorvegliate a vista da un discreto numero di addetti. Vorrei proprio sapere dove stia, questo immenso popolo delle domeniche nullafacenti. Io, comunque, non saprei con chi trascorrerla. Sono tutti troppo impegnati.