Da sempre ci dicono e ci insegnano che le sentenze si rispettano. Poi arriva il verdetto della Suprema Corte e ti aspetti che tribunali e corti di appello non perdano più tempo e si affrettino a tirare le conseguenze. Invece no. L’imputato, inchiodato da dieci anni alla croce del sospetto, resta dentro le gabbie invisibili della macchina giudiziaria, a patire altre pene e altra gogna. E’ quello che succede a Mario Ciancio. L’editore de La Sicilia, ha riavuto a gennaio il patrimonio che gli era stato sequestrato dalle misure di prevenzione e la Cassazione ha appena pubblicato le motivazioni con le quali cancella ogni ombra: Ciancio non ha avuto alcun rapporto con la mafia, non ha fiancheggiato né boss né picciotti. Tutto risolto? No. Resta ancora in piedi il processo per concorso esterno. Se ne parlerà fra cinque mesi, tanto non c’è fretta. Un imputato è per sempre.