Prima di abbassare la saracinesca e cedere a una sentenza di sfratto, l’imprenditore palermitano Marco Armato vorrebbe giocarsi l’ultima carta. Nonostante il prossimo provvedimento del governo nazionale (che ha già scelto di tenere chiusi bar e ristoranti fino al primo maggio), la sua pizzeria ‘Filo d’Olio’, in viale Strasburgo, a Palermo, dal 7 aprile riaprirà i battenti per cena. “Per la posizione decentrata del locale, povera di uffici, e per la vicinanza del cinema Metropolitan, noi da sempre abbiamo scelto di lavorare solo a cena”, precisa subito Armato. Che ora lancia la provocazione, ma non si aspetta di trovare solidarietà: “Ho ricevuto l’appoggio di molte persone, almeno a voce; ma è normale che di fronte all’ipotesi di beccarsi un verbale, molti si tireranno indietro. Posso contare solo su me stesso. Terrò la sala apparecchiata, pronta a ricevere chi vorrà venire”.

Di far fronte con gli altri ristoratori non se ne parla: “Come in tutte le categorie, non c’è unione. In un periodo tragico come quello della pandemia, c’è chi ne trae vantaggio, qualcuno addirittura va alla ricerca di personale. La mia situazione è diversa: ho aperto la pizzeria a ottobre 2018 e a marzo 2020 ci hanno chiuso. Stavamo andando abbastanza bene, ma è un locale nuovo. La chiusura ha fatto sì che disperdessi un po’ di clientela. Anche nei mesi estivi gli affari sono crollati dal 40 al 70%”. Armato continua a pagare il pizzaiolo e il fattorino per le consegne. Tre dipendenti, invece, sono finiti in cassa integrazione. Anche il cinema a fianco è sigillato da mesi. “Non ho avuto la forza di mettere da parte qualcosa per sopperire a quest’anno di pandemia, stavo ancora cercando di recuperare il capitale investito – dichiara l’imprenditore -. L’asporto? Ci ha permesso di lavoricchiare… Ma se avessi voluto lavorare solo con l’asporto, non avrei preso un locale da 180 metri quadrati con un affitto di duemila euro al mese”. Cifra che Marco non può più permettersi.

Sul “Filo d’Olio” pesa, infatti, una sentenza di sfratto (non ancora esecutiva) che impone di lasciare i locali entro il 30 giugno. “Al termine del lockdown, e comunque prima della riapertura del 21 maggio dell’anno scorso, ho rinegoziato il canone d’affitto con entrambi i proprietari del locale. A parte i mesi di chiusura forzata, ero consapevole la riduzione dei posti a sedere, e la riluttanza dei clienti a tornare al ristorante, avrebbe generato delle perdite. Così, da parte di entrambi, mi era stata concessa una riduzione del 50%. Uno dei due, però, non ha più mantenuto la parola: gli ho detto che non avrei potuto più pagarlo, così mi ha fatto scrivere dagli avvocati. Non immaginavo che il giudice sarebbe arrivato alla convalida dello sfratto. Nel resto d’Italia non avviene… La settimana scorsa ho incontrato un mediatore nominato dal tribunale, che però è stato irremovibile: il proprietario non si schioda dalla richiesta di mille euro, e inoltre vuole tutto l’arretrato in un’unica soluzione”.

Una soluzione-tampone al momento non si intravede, così Armato prova a crearsela da solo: “Se potessi guadagnare un po’ di tempo e rimanere fino a dicembre, alla prossima riapertura metterei l’attività in vendita e recupererei qualcosa. Altrimenti, per portarmi dietro tutto quello che c’è dentro, dovrei spendere altri soldi. La perdita sarebbe doppia”. Insostenibile, come questa dannata pandemia.