Un paio di settimane fa c’è stato un momento in cui ho pensato – me ne pento, me ne dolgo – che la strategia di Matteo Renzi fosse quella demente del kamikaze, che salta in aria con la sua vittima. Il rischio c’è ancora, lo vediamo dalle timide o sciagurate reazioni dei partiti all’ipotesi di Mario Draghi, ma se l’incastro riesce toccherà parlare di capolavoro. Renzi ha portato tutti, il Partito democratico, i cinque stelle, l’intera opposizione esattamente dove voleva, all’incarico all’ex presidente della Banca centrale europea, e se non ci fossero implicazioni personali, di potere e di vendetta, che sono irrimediabilmente nel sangue della vita, e se ci si fermasse un secondo a pensare, a guardare le due figurine – la figurina di Conte e la figurina di Draghi – si arrossirebbe a coltivare il più piccolo dubbio. C’è qualcuno immerso nella serenità di giudizio e in possesso delle facoltà mentali che affiderebbe il conto corrente all’avvocato di Volturara Appula invece che al banchiere romano? Ce n’è uno al mondo attrezzato meglio di Draghi a gestire i 209 miliardi del recovery fund di modo che non siano gettati in strizzatine d’occhio ma per rinsaldare le fondamenta economiche a beneficio di tutti? Continua su Huffington Post
Mattia Feltri per l'Huffington Post
in Buttanissimi Extra
Crisi di governo, se salta anche Draghi salta il Paese
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