Ci mancava l’autonomia differenziata di Calderoli, sulla quale Schifani si era espresso favorevolmente, per svilire la Sicilia e allargare il divario, già cospicuo, con le Regioni del Nord. Il ministro Caterpillar, lo stesso che va rassicurando il governatore sul buon esito del ddl Province e sull’abrogazione della Legge Delrio, potrebbe ottenere presto il via libera per una riforma che riassegna alle Regioni le competenze su 23 differenti materie, anche se il punto di partenza è che vengano previste risorse in grado di assicurare “i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale al fine di scongiurare disparità di trattamento”. Queste poche righe fanno parte di un emendamento di Fratelli d’Italia e non godono, non ancora, di copertura economica. La strada però sembra segnata: si va verso il federalismo in modo da consentire a Salvini, dopo il Ponte, di poter contare su un’altra leva per smuovere una campagna elettorale altrimenti asfittica, con Vannacci come unico catalizzatore.

Ma il problema non è Salvini (se non in parte), tanto meno Vannacci. La questione riguarda la Sicilia. La prospettiva da dare a questa terra che – nonostante le promesse del “governo amico” – è stata letteralmente martoriata dall’insediamento di Giorgia & Co. Persino lo sforzo per la realizzazione del Ponte sullo Stretto è stato macchiato dal “prelievo forzoso” dei Fondi di Sviluppo e Coesione, per circa 1,3 miliardi, che non sarà più possibile investire su una serie di servizi e infrastrutture che i siciliani bramano. Finiranno nel calderone per finanziare l’opera che sta tanto a cuore al Capitano, peraltro ancora priva di progettazione esecutiva. Si vedrà più avanti, anche se il ministro leghista ha promesso l’apertura dei cantieri entro la fine di quest’anno e 100 mila posti di lavoro (magari). Alla Sicilia non può bastare, alla Regione non deve bastare.

Repubblica, un paio di giorni fa, si è soffermata sui “tagli” al Mezzogiorno: a partire dalla delega per il Sud che, inizialmente, la presidente del Consiglio aveva deciso di assegnare a Musumeci, e che invece è finita a Fitto, pugliese peraltro, assieme alla Coesione territoriale (che già gli permette di gestire e smistare come meglio crede l’enorme massa finanziaria proveniente dall’Europa). Si è poi passati alla chiusura dell’Agenzia di Coesione, le cui competenze di “programmazione e coordinamento” sui fondi comunitari e nazionali per il Sud sono anch’esse prerogativa del ministro ex berlusconiano. Inoltre, il quotidiano diretto da Molinari ha evidenziato come ad oggi, rispetto alla previsione che il 40% del Recovery Fund venisse utilizzato per sanare il gap fra il Meridione e il resto d’Italia, nessuno sia in grado di provare che le risorse del Pnrr siano state utilizzate nel rispetto delle premesse. Peraltro, dei 15 miliardi rimodulati da Fitto, circa la metà fanno riferimento a progetti per il Sud. Tra questi, il raddoppio della tratta ferroviaria Palermo-Catania: sono rimasti fuori i lotti Caltanissetta Xirbi-Lercara ed Enna-Caltanissetta Xirbi (bisognerà trovare un’altra copertura).

Alla Sicilia verrebbero a mancare circa 5 miliardi, frutto del calcolo della Cgil regionale: il taglio al Pnrr varrebbe 2 miliardi e 400 milioni, quello al Fondo di Sviluppo e Coesione 1 miliardo e 400 milioni (si tratta di soldi destinati originariamente a infrastrutture, dissesto idrogeologico e interventi di coesione sociale). A questi si aggiunga “il taglio al reddito di cittadinanza che non farà arrivare nell’Isola 614 milioni, il mancato gettito fiscale pari a 150 milioni che lo Stato avrebbe dovuto trasferire alla Sicilia e, inoltre, i 150 milioni in un triennio come risarcimento dei costi dell’insularità, previsti dal Def di aprile e scomparsi nella Finanziaria”. E con l’autonomia differenziata, secondo la Cgil, il conto potrà diventare più salato e incidere per un miliardo e mezzo l’anno. Ulteriore, s’intende.

Ma dall’avvento del governo Meloni sono successe altre cose strane: ad esempio la chiusura delle Zes, Zone economiche speciali, ch’erano appena nate e stavano attraendo investimenti. Nell’Isola ce n’erano due, ma anche in questo caso Palazzo Chigi ha preferito centralizzarle in un’unica struttura di riferimento per il Sud (il decreto porta la firma del solito Fitto). “Roma – disse il deputato del M5s, Luigi Sunseri – prosegue con la sua politica accentratrice, togliendo podestà e operatività alla Sicilia, come era già avvenuto con i fondi di sviluppo e coesione, azzerando di fatto anni di lavoro e mortificando le prospettive di sviluppo e di investimento che il lavoro avviato da tempo avrebbe portato. Ci chiediamo cosa succederà alle strutture che lavoravano da anni e, soprattutto, fino a quando Schifani sarà disposto ad essere succube di Roma e Fratelli d’Italia”.

Lo “scippo” più clamoroso, però, è avvenuto pochi giorni fa, quando Schifani, al grido di “non mi riconosco in questo Stato”, ha lamentato la mancata dichiarazione dello stato d’emergenza nazionale per gli incendi che la scorsa estate, in Sicilia, provocarono 6 morti e danni per 150 milioni. La Protezione civile, che risponde al nome di Nello Musumeci, non aveva accolto la documentazione presentata dal dipartimento regionale perché incompleta. Tuttavia, ha dato altre due settimane di tempo alla Regione per mettersi in regola, richiamando i comuni inadempienti. Ciò non ha evitato lo scontro fra Musumeci e il presidente Schifani: “Alcune sue dichiarazioni mi sono sembrate davvero ingenerose. Trovo indecoroso speculare su una vicenda così tragica, che ha ferito la nostra Isola”.

Ma l’azione del governo centrale, checché ne dica Musumeci, non è mai stata troppo orientata nei confronti degli ultimi (e la Sicilia rientra chiaramente fra gli ultimi). Di recente, anche sull’autostrada Siracusa-Gela (di competenza del Cas) sono emerse strane voci: ad esempio il definanziamento del prossimo lotto in programma, da Modica a Scicli, in attesa dell’ennesima rimodulazione. Mentre il deputato e segretario del Pd, Anthony Barbagallo, ha denunciato l’inerzia romana sul problema del caro voli che affligge la Sicilia, e che neppure Schifani è riuscito a contrastare in alcun modo: “A luglio il governo aveva promesso la risoluzione di tutti i problemi legati al caro voli grazie al decreto Asset – denuncia Barbagallo -. Ebbene, siamo a gennaio 2024, succede di tutto e di più ma un dato sembra ineluttabile nonostante le promesse – da mercante – da parte del governo di centrodestra: i prezzi dei biglietti continuano ad essere esorbitanti, soprattutto per le tratte da e per la Sicilia”. L’unica novità introdotta col decreto del ministro Urso, che inizialmente sembrava voler imporre un tetto del 200% ai rincari sotto le feste, è il maggior margine d’iniziativa concesso all’Antitrust per le sue indagini di mercato. Che fin qui non hanno portato a nulla.

Da qualsiasi prospettiva la si analizzi, e al netto dell’Accordo Stato-Regione (contestato anche quello, perché la Sicilia avrebbe rinunciato al pregresso storico, circa 8 miliardi, in materia di retrocessione delle accise) che ha portato in dote qualche centinaio di milioni di risorse aggiuntive e la riapertura dei concorsi, davvero si fatica a scorgere un beneficio da questa collaborazione fra governi di centrodestra. Al contrario. Più indaghi i rapporti fra gli esecutivi, e più ci trovi scontri, scorie, offese, ritorsioni. La storiella del “governo amico”, Ponte o non Ponte, non regge più.