Che cosa racconta delle donne la moda per il prossimo inverno appena vista sulle passerelle di Milano e Parigi (dove, fra l’altro, non è ancora finita)? Se il modo di vestire è specchio dei tempi che viviamo, dovrebbe farci riflettere la sovrabbondanza di “spikes”, di punte metalliche, che insieme con le spalle sovradimensionate e le maschere hanno dominato le passerelle. Qualcuno, io stessa qualche giorno fa, l’ho definita “una moda per tempi inquieti”, come tali intendendo il momento politico, in particolare in Italia e in Francia. Dopo aver visto la collezione di Olivier Rousteig per Balmain, e quell’impermeabile di pvc trasparente ricoperto di punte metalliche come una corazza, o una versione moderna della Vergine di Norimberga, inizio invece a farmi l’idea che i tempi non siano tanto, o non solo, difficili per la società, quella europea in particolare, ma per le donne in generale, e quelle italiane prime fra tutte. Vedo una stessa volontà di dominio e di controllo della sessualità femminile e del suo organo riproduttivo e irriproducibile, l’utero, nella proposta leghista di riaprire le case chiuse e nell’onda lunga, serpeggiante, strisciante anche fra certi rotocalchi di presunta tendenza, di trasformare la gpa, la “gestazione per altri” in un “dono”, in una “condivisione”, in un “atto di generosità”, dimenticando le pesantissime conseguenze del gesto, e per la salute fisica e psicologica della donna, e per il soggetto del desiderio, il bambino, trattato e descritto come un oggetto o un “diritto”.

Alla proposta leghista di riapertura delle case chiuse, alla strisciante campagna mascherata frou frou a favore della trasformazione dell’utero femminile in un luogo di lavoro che accomuna una corrente trasversale, composta da omosessuali maschi e donne impossibilitate ad avere figli per le più svariate ragioni ma ostili all’affido o all’adozione, ora va aggiungendosi il ddl Pillon contro l’aborto e che rende sempre più difficile per le donne anche separarsi. Non vedevamo un simile attacco misogino da decenni ma, a differenza di quanto è accaduto negli Anni Settanta, ci pare che venga sottovalutato dalle ragazze giovani. Ne abbiamo viste poche nelle piazze nei mesi scorsi, non sento nessuna parlarne in università o nei luoghi di lavoro. Sembrano dare tutto per acquisito, come se i diritti conquistati dalle loro madri e dalle loro nonne non fossero, invece, frutto di una lunga battaglia e di posizioni occupate solo (e purtroppo) temporaneamente. Se a questo si aggiunge un altro dato, ben noto alle banche da anni, e cioè il rischio di dipendenza economica dal compagno a cui stanno tornando le donne occidentali, le più giovani in particolare che, oltre a non trovare facilmente lavoro, si appoggiano nuovamente volentieri alle spalle del compagno, è ovvio che il quadro sia allarmante. Minore forza economica, rischio di minore controllo sulla propria sessualità e sul diritto alla procreazione, spinta per il controllo statale della prostituzione, campagna a favore della trasformazione dell’utero in un’alternativa al lavoro. In effetti, le punte di metallo sui cappotti sono nulla.