Due anni di virologi in tv e sui social in un assordante cicaleccio h 24 ogni giorno tutti i giorni e poi, zac, il conflitto Russia-Ucraina. Emergenza scaccia emergenza. Via i virologi dagli studi televisivi, sostituiti in un attimo da uno stuolo di esperti in geopolitica globale, cremlinologi di nicchia, teorici dell’arte della guerra. Psicologi perfino, ché ce n’è bisogno.

Anche perché il presidente Biden si è appena espresso sul conflitto. Nel discorso sullo stato dell’Unione pronunciato al Congresso, ospite d’onore l’ambasciatrice dell’Ucraina in Usa Oksana Markarova, una festa di giallo e blu negli abiti di molte deputate americane, decise a sfoggiare i colori della bandiera ucraina, Biden ha affermato grave che Putin “può circondare Kiev con i tank, ma non avrà mai i cuori e l’anima del popolo ucraino”.

Il Commander in chief ha anche annunciato la chiusura dello spazio aereo americano ai voli russi, sull’esempio di quanto già fatto da Unione Europea e Canada. Poi, forse nella speranza di risalire nei sondaggi – la sua popolarità è ai minimi storici, ben sotto il 40 per cento – ha ricordato il suo impegno in prima persona per “costruire una coalizione di nazioni che amano la libertà, dall’Europa alle Americhe, dall’Asia all’Africa”.

Citata anche l’Italia. Per cui, tolta la mascherina, è consigliabile indossare l’elmetto. Pronti a combattere sul fronte orientale.

Elmetto che ha già messo, da par suo, il migliore tra noi, il presidente del consiglio che ha scandito in Senato: “L’Italia non intende voltarsi dall’altra parte”. Forte dei “valori di libertà e democrazia”, l’Italia al tempo di Draghi “ha risposto all’appello del presidente Zelensky che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dall’aggressione russa”.

Oltre ai ringraziamenti di circostanza e a un omaggio, molto per inciso, a Alcide De Gasperi, padre della Repubblica, in più di mezz’ora di discorso Draghi ha citato soltanto “lo storico Robert Kagan”, per il quale “la giungla della storia è tornata, e le sue liane vogliono avvolgere il giardino di pace in cui eravamo convinti di abitare”. Poetico. Forse troppo per il cuore callido di un banchiere. Come una “voce dal sen fuggita, come se tra le righe l’inconscio venisse a galla, sempre supponendo che Mario Draghi abbia un Es oltre l’Ego.

Chi è, dunque, Robert Kagan? Politologo statunitense, grande sostenitore di Hillary Clinton, Kagan è un “liberal interventionist”, sempre a sostegno di scelte interventiste nella politica estera degli Stati Uniti.

Sua moglie è Victoria Jane Nuland, una lunga carriera ai piani alti del Foreign Office, una che nel 2014 si trovava in Ucraina nel tentativo di dirimere la crisi, per intenderci quella definita “rivoluzione” dall’Occidente e “colpo di stato” dalla Russia. Dopo scontri cruenti, dalla rivolta di Euromaidan a Kiev alla strage di Odessa per mano dei nazionalisti di estrema destra filoccidentali, la crisi portò alla fuga e alla messa in stato di accusa dell’allora presidente Viktor Janukovyč.

Nel febbraio 2014 qualcuno pubblicò una telefonata intorno all’Ucraina tra due alti diplomatici degli Stati Uniti: Victoria Nuland, appunto, allora vicesegretario di stato e l’ambasciatore a Kiev, Geoffrey Pyatt. Il file audio esiste ancora su YouTube, mai smentito dagli Usa che, anzi, accusarono la Russia per l’imbarazzante fuga di notizie. Perché nel corso della conversazione Victoria Nuland pronunciò la frase fatale: “Fuck the EU”, a rimarcare l’intenzione degli Stati Uniti di tralasciare l’Unione Europea nella ricerca di una soluzione alla crisi ucraina. L’intercettazione fece il giro del mondo, ripresa da tutti i giornali.

Tanto più che negli stessi giorni l’ex segretario di stato e premio Nobel per la pace nel 1973, Henry Kissinger si pronuncio più volte, con editoriali e interviste, in modo ben diverso rispetto alla soluzione della crisi sul fronte orientale dell’Europa: “Una saggia politica avrebbe dovuto cercare il modo di favorire l’intesa fra le due parti dell’Ucraina: quella nazionalista e quella russofona. Non il dominio di una fazione sull’altra. Spingere l’Ucraina a far parte della Nato condurrà necessariamente alla guerra”.

Con queste premesse, armiamoci e partite. Perché chi non conosce la storia è condannato a riviverla. E dovrà presto chiedersi se vale la pena morire per Kiev. Come poco più di ottanta anni fa, allo scoppio della seconda guerra mondiale, ci si domandò se valesse la pena morire per Danzica.