In termini percentuali il miglior risultato è quello di Pachino, dove raccoglie l’11,87% (comunque alle spalle di Fratelli d’Italia). Mentre l’altra piazza sopra la doppia cifra è Favara, dove si attesta al 10,43%. Ma lo specchio di questa tornata elettorale, per Diventerà Bellissima, è l’esclusione dal Consiglio comunale di Caltagirone. Unico partito della coalizione di centrodestra – quella del candidato sindaco Sergio Gruttadauria – a non far scattare nemmeno un seggio (col 4,51%). Nella città che aveva amministrato negli ultimi cinque anni con Gino Ioppolo, il movimento di Nello Musumeci resta (clamorosamente) fuori da tutto.

Il modello Caltagirone, che fa cantare vittoria al centrosinistra (al di là dei propri meriti, visti i risultati delle liste), potrebbe rivelarsi letale per il presidente della Regione, la cui strada verso la riconferma a palazzo d’Orleans dovrà necessariamente passare da un tavolo di coalizione. Forse da più di un tavolo. Perché “Musumeci da queste elezioni esce sicuramente indebolito”, per citare Gianfranco Micciché. “A Caltagirone per lui è stato un suicidio – commenta il leader di Forza Italia a ‘La Sicilia’ -. Altrove la sua lista fa sicuramente risultati non all’altezza di un movimento del presidente della Regione”. E se da Pd e Cinque Stelle arrivano avvisi di sfratto un po’ prematuri, il parere degli alleati conta. Eccome se conta. Musumeci non è più il baricentro di una coalizione che in questi quattro anni ha volutamente abbandonato e disperso. Ne è prova la frammentazione in dodici dei tredici comuni al voto col proporzionale. A Favara, dove il governatore ha speso buona parte delle sue energie, il candidato sindaco Totò Montaperto ha acciuffato il ballottaggio (da secondo classificato). Come a Vittoria – altra sede di comizio – dove Salvo Sallemi (di FdI) ha strappato il secondo turno a Ciccio Aiello per il rotto della cuffia.

A Lentini la lista di Diventerà Bellissima si ferma al 5,13%. A Canicattì, San Cataldo, Adrano, Giarre, Rosolini e Alcamo il simbolo non compariva nemmeno sulla scheda elettorale. Musumeci era presente ufficialmente in cinque grandi comuni, come la Lega (il Carroccio, però, nel Catanese poteva contare sulla lista sentinella di Sammartino). “Musumeci ha ambizioni legittime, ma è un uomo di squadra e lui per primo sa che l’obiettivo principale deve essere quello di restare tutti insieme”, dichiara Roberto Di Mauro, leader degli Autonomisti, a Meridionews. Non c’è uno che sostenga a spada tratta i motivi della sua ricandidatura. Soprattutto alla luce degli ultimi risultati, dei comportamenti all’Ars (dove rimangono bloccati i lavori dell’aula e della prima commissione), del feeling ormai corroso coi principali esponenti degli altri partiti. Il tentativo di ricucitura con la Meloni è l’ultima spiaggia.

E tutti invitano a un ragionamento sacrosanto, sia dalla maggioranza che dall’opposizione (che sotto sotto ci spera). Se Musumeci rimane in campo, scatta un altro candidato automatico: il sindaco di Messina, Cateno De Luca. Il che vuol dire spaccare l’area in partenza. Sancire una linea di confine fra centrodestra/1 e centrodestra/2. Con quest’ultimo che grazie alla verve di Scateno potrebbe riuscire nell’impresa – audace ma per nulla impossibile – di farlo perdere. “Può valere il 7, il 10, o il 15%” sussurra un big della coalizione. “Prenderà 50 mila voti solo a Messina, con le altre province potrebbero anche triplicare”.