Le Amministrative di domenica e lunedì, sulla scia di quanto avvenuto a livello nazionale, rilanciano le ambizioni del Partito Democratico anche in Sicilia. E segnano una linea di confine tra l’alleanza ormai rituale con il Movimento 5 Stelle, e i tentativi di scimmiottare il modello Draghi, che ha portato ad alcune delusioni calcolate: a Noto, Alcamo e Canicattì, per esempio. “L’asse coi Cinque Stelle – rilancia Giuseppe Lupo, capogruppo del Pd all’Assemblea regionale – è strategico per vincere. Quest’alleanza, che comprende anche i movimenti civici e le altre forze di sinistra, si nutre soprattutto della grande sintonia programmatica e della qualità dei nostri candidati. Per gli elettori siamo gli interpreti del cambiamento di cui le nostre amministrazioni comunali e le nostre città hanno bisogno”.

E’ nato il modello Caltagirone.

“Che in realtà prende spunto dal modello Termini Imerese, sperimentato l’anno scorso. Non è solo un modello per vincere, ma per amministrare bene. Come sta avvenendo a Termini grazie al lavoro della sindaca Terranova, degli assessori e dei consiglieri del Pd”.

Avete fatto passare la vittoria di Caltagirone come un avviso di sfratto nei confronti del governo Musumeci. Non c’è il rischio di caricare di eccessivi significati un risultato prestigioso, ma pur sempre localistico?

“E’ chiaro che non tutto quello che accade a livello locale si può trasporre, automaticamente, nell’esperienza regionale. Ma poiché i risultati sono omogenei e diffusi in parecchi comuni e in diverse parti della Sicilia, testimoniano che l’alleanza col M5s e le altre forze della sinistra può essere vincente anche per la Regione”.

L’assessore Cordaro, sui social, ha scritto testualmente: “Se PD e M5S si alleano, possono provare a vincere; se il centrodestra si divide, può provare a perdere”.

“Do una notizia a Cordaro. A Caltagirone il centrodestra era unito, ma ha perso lo stesso. Ha perso contro il candidato di Pd, Cinque Stelle e Cento Passi, in uno dei territori in cui il presidente della Regione è più presente e con un sindaco uscente di Diventerà Bellissima che gli è notoriamente vicino. Il centrodestra non vince più neppure dove è unito”.

Che altrove fosse diviso, però, è altrettanto notorio.

“Ma la divisione è la conseguenza della litigiosità e della crisi politica che sta attraversando. Il centrodestra perde perché governa male la Sicilia e ha amministrato male molti comuni”.

Perché gli esperimenti ad Alcamo, Canicattì e Noto sono falliti? L’allargamento al centro è già un’esperienza superata?

“Il fatto che in questo momento il Pd sia all’opposizione del governo Musumeci, sostenuto da una coalizione di cui fanno parte Forza Italia e l’Udc, è di per sé un elemento vincente. Vinciamo dove – con chiarezza – siamo alternativi alle forze che governano la Sicilia”.

L’altro giorno Enrico Letta ha detto che bisogna preparare una proposta politica per la Sicilia “senza arrivare all’ultimo momento”. Claudio Fava ha ribadito che non ci si può nascondere “dietro le meline romane”. E anche la corsa di alcuni candidati, in campagna elettorale da più di un anno, dimostra che il tempismo non è un fattore secondario. Anche per la Regione serve al più presto un candidato?

“Purché sia il candidato giusto. Io sono d’accordo con Letta: bisogna fare presto, ma anche fare bene. Laddove ci sono idee chiare e condizioni per anticipare, è bene anticipare. Finora siamo stati concentrati su questa tornata elettorale. Chiusi i ballottaggi, bisognerà accelerare per le competizioni della prossima primavera”.

E per la Regione?

“E’ chiaro che bisogna maturare una scelta quanto prima. Non darei una scadenza precisa perché serve prima un confronto fra tutte le forze parlamentari che condividono un progetto di cambiamento. Ma mi auguro ci si arrivi in tempi brevi, soprattutto se vogliamo prevedere la possibilità di celebrare le primarie di coalizione. Che non sono un obbligo, ma rappresentano spesso un’opportunità”.

La paralisi dell’Ars e dell’azione di governo fanno pensare che il prossimo sia un anno di transizione. Ce lo possiamo permettere, con i fondi del Pnrr in arrivo?

“Questo è un pericolo che dobbiamo scongiurare. La Sicilia ha bisogno di risposte immediate. Ormai la maggioranza all’Assemblea regionale non esiste più. Ieri è stata rinviata per la quarta volta la commissione Affari Istituzionali per mancanza del numero legale. E nel frattempo, a causa dei partiti che non riescono a mettersi d’accordo, enti e società rimangono commissariate o non riescono a rinnovare i consigli d’amministrazione. Noi, in aula, incalzeremo il governo affinché non vengano sprecate le opportunità che vanno colte con immediatezza, a partire dal Pnrr. Quanto accaduto con la bocciatura dei 31 progetti – che c’è costata 400 milioni – non si può ripetere. Il governo deve venire in aula e accettare il confronto parlamentare. Se Musumeci continua a rinchiudersi nel suo ufficio e non dialogare neppure con le forze dell’Ars, a pagarne le conseguenze saranno i siciliani”.

Sui progetti bocciati esiste una corresponsabilità dei burocrati?

“I burocrati li sceglie la politica. Musumeci e le forze di maggioranza, però, scaricano sui burocrati buona parte delle proprie responsabilità. Se non sono riusciti a procedere con assunzioni mirate per portare avanti la macchina amministrativa, se i progetti vengono bocciati o arrivano in ritardo, la responsabilità è di chi governa”.

La Corte dei Conti ha bocciato, di fatti, il rendiconto parificato della Regione. Ma l’assessore Armao minimizza, dicendo che non ci saranno ripercussioni finanziarie sull’Ente. Sul disastro dei conti qual è l’approccio giusto?

“Continuare a minimizzare sta portando la Regione verso il dissesto. Quello di Armao è un atteggiamento irresponsabile. E’ la prima volta da quando esiste la Regione siciliana, dal ‘47, che le Sezioni unite della Corte dei Conti nazionale bocci un rendiconto. La gravità di quello che è accaduto si commenta da sé. Avevamo messo in guardia il governo che continuando a far finta di nulla o girandosi dall’altra parte si rischiava di andare a sbattere…”.

L’ex ministro Provenzano, oggi vicesegretario del Pd, ha detto che la Meloni è fuori dall’arco costituzionale, salvo poi correggere il tiro. Dopo l’assalto di sabato alla Cgil, secondo lei esiste il problema di una destra squadrista in Italia?

“I fatti di sabato sono di una gravità enorme e confermano che ci sono estremismi di destra che vanno isolati e unanimemente condannati dalle forze politiche. Ho presentato un ordine del giorno all’Ars affinché il governo regionale assuma concretamente, nel rispetto delle specifiche competenze, iniziative idonee e mirate, presso il governo nazionale, per valutare la sussistenza dei presupposti di legge per lo scioglimento di Forza Nuova e di tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista”.

Salvini e Meloni non l’hanno fatto abbastanza?

“Anche il presidente della Regione, in realtà, ha utilizzato espressioni che non stigmatizzano fino in fondo ciò che è accaduto di fronte alla sede della Cgil. Quella era una manifestazione violenta di stampo neofascista. Per dirlo non servono molti giri di parole”.