Nello Musumeci non ha intenzione di mollare. Almeno fin quando a Roma non gli diranno apertamente che è un candidato divisivo. La conferenza stampa del presidente della Regione, che prometteva fuoco e fiamme dopo l’annuncio di lunedì scorso a Catania (“Tolgo il disturbo”), si rivela per quello è: fuffa. Il governatore si tiene stretto il suo trono a palazzo d’Orleans, ma anche gli assessori che gli stanno intorno; e soprattutto Giorgia Meloni, “che ringrazio per la tenacia, la perseveranza e la passione con cui ha difeso il diritto alla mia ricandidatura”. Una ricandidatura che vacilla di fronte alle resistenze di Lega, Forza Italia, Autonomisti. Ma che, tuttavia, resta legata al tavolo romano che si insedierà dopo i ballottaggi di domenica prossima.

Ciò che rimane di questa mattinata in apnea è, quindi, il galleggiamento. Musumeci, al cospetto di una sala gremita, parte da un video dello scorso anno allo Spasimo, in cui si diceva pronto a “tre passi indietro per tutelare l’unità del centrodestra”. Un concetto rimarcato anche oggi: “La coerenza è importante in politica e chi mi conosce sa che io della mia vita ho fatto una regola di coerenza”. Poi si apre la fase-due. Quella del vittimismo: “Nessuno nelle altre regioni ha mai posto il problema della ricandidatura, perché l’uscente – a meno che non abbia commesso atti amorali – viene riconfermato”. Ma “io sono un presidente scomodo in una terra che finge di voler cambiare”. Musumeci cuce e scuce i fili del discorso che porta dritto alla domanda finale: “Perché non io? Fa ridere il fatto che io non parli coi partiti, che non faccio toccare palla…”. E, citando l’ultima intervista di Micciché al Corriere: “Ci sono palle e palle. Ci sarà un momento per parlare delle palle che si possono toccare e di quelle che è pericoloso toccare. Ricordatevi che siamo in Sicilia… Spero, se non dovessi essere io il candidato, che mi si dica presto la verità. Ma forse se qualcuno mi dicesse la verità il centrodestra pregiudicherebbe la sua vittoria alle prossime elezioni”.

Insomma, cosa aspetta Musumeci a togliere il disturbo? “Completati i ballottaggi, si riuniranno a Roma i leader del centrodestra. Ho detto alla mia leader Giorgia Meloni che se al tavolo nazionale il mio nome dovesse risultare divisivo, sono pronto a fare un passo di lato. Se tutto questo potrà servire all’individuazione di un candidato unitario che unisce anziché dividere. Quando l’avranno trovato me lo presenteranno e tutti saremo felici di poterlo sostenere”. Anche se dovesse trattarsi di un candidato indigesto? “La politica non vive più di sentimenti. Figuratevi se io dovessi alimentare risentimenti”, è la risposta a chi glielo domanda. Ma il governatore è anche un abile stratega: “Chi è per me il miglior candidato? Musumeci – si risponde da solo – e non lo dico per interessi di parte”. E qui sfodera il salvagente: “Io sono diventato presidente discusso dagli alleati e divisivo pur risultando vincente in tutti i sondaggi. E’ un paradosso, ma questa è la terra dei paradossi, delle contraddizioni. Tutti i sondaggi degli ultimi sei mesi, in tutti gli scenari elettorali possibili, mi danno vincente. Eppure per alcuni dei miei alleati io rimango un presidente e un candidato divisivo. I sondaggi si prendono con le pinze sempre. Nessuno si fa illusioni, ma se il sondaggio contrasta la tesi ricorrente di qualche vicino di casa, chi perde credibilità non è il sondaggio ma il vicino di casa”.

Poi, ad un tratto della conferenza stampa, l’orgoglio prende il sopravvento: “In questi ultimi due giorni ho ricevuto centinaia di messaggi di cittadini a me sconosciuti, alcuni dei quali appartenenti a schieramenti politici diversi e contrapposti al mio. Mi hanno esortato a non arrendermi, a non darla vinta e a non mollare. Li ringrazio per il loro affetto, ma voglio ricordare che la mia non è una scelta di resa. Non mi sono mai arreso nella mia vita pubblica e privata, tranne una volta: quando il padre eterno ha voluto richiamare mio figlio. Non so cosa sia la parola resa. La mia non è una resa e neanche voglia di mollare, perché io non mi dimetto, ho un impegno col popolo siciliano che ho assunto cinque anni fa, e fino all’ultimo giorno servirò la mia Regione e il popolo siciliano nei suoi legittimi interessi, rimanendo con la schiena dritta e la stessa integrità morale e lo stesso entusiasmo del primo giorno”. E ancora: “Andrò in giro per la Sicilia a programmare, aprire cantieri e inaugurare nuove opere. Non sto mollando. La mia è una scelta di responsabilità, anche se la responsabilità oggi è un arnese fuori uso. La mia è una scelta per non indebolire il centrodestra e consentire al centrodestra di tornare a vincere e continuare lungo la strada del cambiamento che il mio governo ha tracciato. Anche se nell’ultimo anno ho dovuto subire indicibili e ignobili attacchi dal fuoco amico, preoccupato più a delegittimare il presidente della Regione che ad attaccare le opposizioni”.

Una nuova versione dei fatti si fa largo dopo i fischi di Taormina: “Qualcuno ha scritto che la mia sarebbe una scelta legata alla claque di Taormina. I comici fanno i comici per professione, sono pagati per farlo. Per altro hanno fatto il nostro gioco perché esaltavano la condizione delle strade disastrose: la Regione di tutto si occupa, tranne che di strade. Il governo Draghi, a cui Fratelli d’Italia non partecipa, è rimasto sordo alle nostre sollecitazioni”. Poi riprende fiato e torna sulla claque di “dodici persone” che l’avrebbe fischiato sabato scorso durante la serata di gala di Taobuk. “Una manifestazione di debolezza, mai di forza”. Complottismo che si aggiunge a vittimismo. Per una tesi che fa ridere più di Ficarra e Picone.

Al momento delle domande finali, Musumeci rimarca la sua vicinanza alla Meloni, la cui stima sembra venuta meno a seguito di alcune scelte discutibili (come l’ingresso in giunta di Aricò) e del risultato raggiunto alle Amministrative. Eppure, per correre fra le sue braccia, ha seppellito di fatti l’esperienza di Diventerà Bellissima: “Siccome siamo prossimi alla costituzione del tavolo nazionale, mi sembrava il momento giusto per poter dire alla Meloni – al cui partito ho aderito insieme a sette deputati, a un assessore regionale e a tanti amministratori locali – che se dovesse trovare difficoltà di unità sul mio nome, può disporre della mia rinuncia perché sono pronto a fare un passo di lato. Per me l’unità del centrodestra viene prima di ogni legittima aspirazione. La Meloni ha apprezzato questa mia disponibilità, ma si è chiesta anche lei perché dovrei fare un passo indietro”. Nessun accordo su un seggio al Senato: “Io non svendo la mia terra e il mio popolo per un posto al parlamento nazionale. Sono di un’altra pasta. O vengo messo nelle condizioni di raccogliere assieme ai partiti quello che abbiamo seminato, altrimenti mi metto da parte e continuo a fare politica da iscritto e militante, ma non accetto compromessi. Né la Meloni mi ha mai proposto un baratto del genere”.

Sui rapporti con Micciché glissa. “Io distinguo i rapporti personali da quelli politici. La mia è un’aspirazione che non trova interlocutori, perché per alcuni – invece – i rapporti personali e politici rimangono un binomio fisso e inscindibile. Io ho avuto ottimi rapporti coi segretari dei partiti della coalizione fino a qualche mese fa”.