La cancellazione della kermesse di Palermo, in programma l’11-12 giugno, è più di un classico temporale estivo. E’ la deriva del clima all’interno della maggioranza. Quello che fin qui non ha permesso di fare le riforme, consegnando al parlamento semplici riempitivi: dove sono la legge dell’Edilizia o quella sui rifiuti? Il loro destino è legato al pallottoliere di Sala d’Ercole, che allo stato dell’arte è sempre più in bilico. Al termine della seduta di mercoledì pomeriggio, conclusa con l’approvazione dell’articolo 3 del Ddl Edilizia (il fascicolo da 128 pagine ha partorito un topolino), e con un rinvio sui debiti fuori Bilancio, la riflessione di Nuccio Di Paola, deputato del M5s, ha colto nel segno: “Mettiamo che qualcuno delle opposizioni chiedesse il voto segreto su una norma – ha obiettato il grillino osservando i banchi del centrodestra semideserti -: la maggioranza sarebbe in grado di approvarla?”. La risposta è ‘no’. Così il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, ha sospeso la seduta, invitando i capigruppo della coalizione di governo – è così che la chiama Musumeci – a qualche giorno di riflessione.

Per le grandi riforme serve compattezza. Occorrono i numeri. E il centrodestra non ha né l’una né gli altri. Al massimo, di tanto in tanto, si concede qualche ‘franco tiratore’. Il penultimo anno della legislatura si trascina così in maniera stanca e un paio di giorni fa, dopo due mesi di vuoto cosmico, l’Assemblea è tornata ad approvare una leggina per spostare le elezioni Amministrative in autunno. Stop. Al resto ci pensa il Covid. L’emergenza sanitaria (ma non quella economica, rimasta ‘appesa’ alla promessa di 250 milioni di ristori) è la cifra distintiva di questo governo, l’ombrello sotto il quale ripararsi. L’unica preoccupazione di Musumeci, nelle ultime settimane, è stata quella di apparecchiare il red carpet per il gran ritorno di Ruggero Razza, invocato a gran voce da una sanità rimasta senza nocchiero.

E organizzare una convention per rilanciare se stesso in ottica Regionali: a questo sarebbe servita la manifestazione di oggi e di domani (che secondo le ultime indiscrezioni di Repubblica potrebbe tenersi allo Spasimo il 25 e 26 giugno). Con tutti gli assessori schierati al fianco del presidente, per chiedergli di restare, di non lasciare il lavoro a metà dell’opera, di sacrificarsi sull’altare di un’Isola che per redimersi ha bisogno di un presidente onesto e con la schiena dritta. Sarebbe stato un bel bagno di vanità, un momento in cui superare le difficoltà di comunicazione – eppure Musumeci, di recente, ha riorganizzato l’ufficio stampa e nominato il proprio portavoce – elogiando il grande cambiamento in atto: gli onori della ribalta sarebbero toccati senz’altro alla riforma Urbanistica, che “i siciliani aspettavano da 42 anni”. Cioè l’unica di un certo peso approvata dall’Ars. E poi?

Di chiacchiere da bar, invece, ce n’erano in abbondanza. Il Ponte sullo Stretto; i centri direzionali; i migranti, magari. Forse non sarebbe stato il luogo per fare menzione dei disastri del Bilancio, con Roma che a breve potrebbe impugnare alcuni articoli dell’ultima Finanziaria, e la Corte dei Conti che si appresta a parificare il rendiconto del 2019. Ma non sarebbero mancati gli elogi nei confronti degli assessori che, in tempi recentissimi, sono stati invitati a esprimersi pubblicamente a favore della sua ricandidatura; o, al contrario, a farsi da parte. Anche se Musumeci dovrà cercare i suoi sostenitori fuori dalle stanze nobili di palazzo d’Orleans. Dovrà scendere a patti coi partiti che l’hanno fatto eleggere nel 2017 e che lui, presidente di tutti e di nessuno, ha volutamente trascurato, delegando la parte politica alle cure del suo ‘delfino’. Razza è un asset per Musumeci. Rappresenta il collegamento con Forza Italia, con la Lega, con gli Autonomisti. E’ il collante fra l’azione di governo e il ruolo dei partiti in questa maggioranza stramba. Il consigliere fidato e il suggeritore prediletto.

L’appuntamento di Palermo, oltre a ribadire quanto siamo belli e quanto siamo bravi, doveva porre le basi per la ricandidatura. Ma resta il fatto che nessuno degli alleati di Musumeci, in questo momento, sia disposto (né lo sarà fra un paio di settimane) a offrire il fianco. A esporsi. Ad accelerare. “Non è il momento” suggeriscono gli (ex) amici leghisti. “Nessuno ci obbliga”, riferisce Micciché. La Meloni nicchia, memore di un rapporto politico turbolento e già archiviato. Qualcuno addirittura inveisce: come nel caso di Cateno De Luca, rappresentato all’Ars da un solo deputato (Danilo Lo Giudice, iscritto al gruppo Misto), ma elemento di rottura se ce n’è uno. Scateno, che ha già annunciato la sua candidatura in funzione anti-Nello, non perde occasione per inveire contro il presidente “e i suoi sodali”, contro la gestione “politico-mafiosa” della sanità siciliana. E martedì prossimo sfiderà in tv Gaetano Armao, con cui di recente sono volati messaggini barbari.

La coalizione di centrodestra è un campo minato, e il presidente della Regione – che meno di cinque anni fa aveva annunciato di spararsi le cartucce per un solo mandato – non ha fatto nulla per attrarre su di sé troppe simpatie. Anzi, è sempre scattato sui pedali mentre gli altri riprendevano fiato: proponendo uno scambio di deleghe tra Falcone e Razza – tenendo all’oscuro i partiti tranne Forza Italia – per agevolare il ritorno in giunta del suo braccio destro; mettendo nelle posizioni di sottogoverno i suoi collaboratori più stretti, e lasciando le briciole agli alleati; dimenticando alcune promesse sfoderate in campagna elettorale (la riforma della pubblica amministrazione e dei Consorzi di Bonifica, la chiusura dei carrozzoni); avocando a sé la guida di due assessorati strategici (prima i Beni culturali, poi la Sanità) senza lasciare agli altri margini di manovra; sfidando il parlamento in maniera aspra, con quella vena spiccatamente giustizialista (ricordate l’attacco a Sammartino?) che oggi contesta ai suoi oppositori; annunciando da solo e senza concertazione la propria ricandidatura.

Piccole fessure che rischiano di diventare crepe nei rapporti istituzionali e interpersonali. Con Salvini l’intesa non è più decollata a causa della mancata federazione col Carroccio, ch’era stato l’ex ministro in persona a offrirgli su un piatto d’argento l’estate scorsa; con Stancanelli i rapporti sono logori dai tempi dell’ultimo congresso di Diventerà Bellissima, quando l’ex sindaco di Catania, e co-fondatore del movimento, gli offrì di federarsi con Fratelli d’Italia, ricevendo un bel due di picche come risposta; con Micciché ci sono troppi ostacoli, in primis “i cattivi consiglieri che mettono zizzania”; con l’Udc c’è freddezza, dopo il tentativo dello stesso Razza di scalare il partito per il tramite della famiglia Genovese. Anche con gli Autonomisti di Lombardo e i popolari di Romano la tensione è palpabile. Con il sindaco De Luca manco a parlarne. L’anamnesi dei rapporti del governatore è fortemente compromessa. Predicare nel deserto di Palermo i propri (in)successi che senso avrebbe avuto? Bastava e avanzava la tenuta di Ambelia.