A fronte di un’esperienza politica ultra-decennale, basata su idee solide e compromessi necessari, non si stupisce che tre deputati regionali fondino un nuovo gruppo (“Ora Sicilia”) per accaparrarsi la simpatia del presidente Musumeci e consolidare l’azione di governo. Gli sta bene, ma non è questo il modo. Totò Cardinale, che alle giravolte è abituato – di recente, insieme a Sicilia Futura, ha salutato il Pd per intraprendere un dialogo al centro – vorrebbe darci un taglio con le moine: “Questo genere di riposizionamenti, voglio chiamarli “tecnici”, non hanno una prospettiva – spiega l’ex Ministro delle Comunicazioni – se non quella di confluire in un partito più grande alla vigilia delle prossime elezioni, e ottenere una candidatura. Ma non è questa la logica del politico e della politica, di chi vuole servire il Paese o una Regione”.

Scottato dall’abbraccio col Pd, che oggi definisce “un partito che si chiude a riccio”, da qualche mese a questa parte Cardinale è impegnato nella costruzione, farraginosa e piena di imprevisti, che passa da “un’assemblea costituente e da un documento condiviso di principi e di valori”, di una nuova forza politica che abbia la sua naturale collocazione al centro. Si ritrova a parlare di Democrazia Cristiana, l’onorevole Cardinale. Ma sa bene che “non si può copiare schematicamente. La Dc è stata e non sarà più. Ma mi piace pensare a un soggetto politico plurale, in cui possano esserci moderati e cattolici, gente animata da un pensiero sociale e solidale. Credo sia questa l’unica risposta. Ogni altro tentativo, compreso quello di trovare un posticino al sole e covare la speranza di essere rieletto, mi pare patetico. Non credo riesca a soddisfare un’esigenza o rispondere alle domande che ci pone la nostra coscienza”.

Ci avete provato voi di Sicilia Futura con il Pd. Cos’è che non è andato?

“Quando pensammo di poter dare un contributo, allargando il Pd al centro, demmo l’anima. L’obiettivo finale del nostro movimento era confluire nel Partito Democratico. C’era un pensiero e un programma politico. Ma non ci riuscimmo, e non per colpa nostra. Anche con Renzi, pur dando qualche segnale di apertura, il Pd non ha mai inteso aprirsi al centro con facilità. Questo è un mondo che aspetta segnali, l’unico sul quale una forza politica può e deve impegnarsi a lavorare. Lì c’è molto spazio: non soltanto per i voti che si prendono, ma soprattutto per quelli che non vengono espressi. C’è tanta gente che rimane a casa e potrebbe essere interessata a un nuovo soggetto politico”.

Crede che con Zingaretti sia fallito qualunque approccio?

“Di spazio verso il Pd non ce n’è più. Guardi come trattano Calenda solo perché indossa una polo della Lacoste… Come se una maglietta fosse appannaggio di una classe sociale e basta. Posso dirle che io di quelle polo ne ho più di Calenda, almeno una decina, ma non credo di essere fra quelli a cui è vietato militare in un partito progressista o di sinistra. Questa è una posizione autolesionista e viene colta all’esterno con inquietudine da parte di chi aveva creduto nel Pd”.

Durante la campagna elettorale per le ultime Europee avete provato a parlare con Forza Italia. Qualcosa è quagliato?

“Forza Italia, nonostante l’apertura di Berlusconi, che ha provato a calare la sua leadership nel territorio, non versa in buono stato”

Cosa pensa di Salvini?

“Mi dà l’idea di voler vincere da solo e utilizza il centrodestra per radicarsi nelle regioni in cui non ha storia. Soltanto per quello. Ma non è uno che apre, che accoglie. Ha un’idea maggioritaria che io conosco molto bene. Somiglia a quella di Veltroni del 2008, dopo la caduta del governo Prodi. L’idea che si possa vincere da soli”.

Siccome diamo per scontato che non voglia dialogare con Salvini – se ci sbagliamo ce lo dica – con chi la costruisce questa nuova casa di centro?

“Non c’è nulla, se non un’improvvisazione costante e continua. Non si può chiamare neanche tattica, perché la tattica presuppone il passaggio successivo e cioè l’obiettivo strategico. Allora mi chiedo: cosa deve fare in questo mondo un riformista, un liberale, un popolare? Qui non servono più gruppi e gruppetti. Anzi. Occorre sciogliere anche i gruppi maggiori. E’ il momento del coraggio, della responsabilità che manca. E’ il momento in cui tutti i protagonisti della politica, soprattutto quelli che hanno una responsabilità istituzionale, devono essere generosi e aprire un confronto largo. E’ un’operazione complicata che deve partire dalla Sicilia”.

Sta pensando a qualcuno in particolare?

“Musumeci potrebbe cogliere questa grande sfida. Vista la chiusura di Salvini e del Pd, si lanci un grande appello, si faccia una costituente in cui ci sia un contenuto, un radicamento culturale che permetta di pensare a un soggetto politico plurale e interclassista. Sembrano termini vecchi, ma io di nuovi non ne conosco. A parte qualche insulto”.

Ma onorevole, Musumeci ha appena raccolto il salvagente della Lega e medita di andare a braccetto con Salvini nei prossimi appuntamenti elettorali.

“Prima di giudicare, aspetto che le cose si facciano. Tuttavia, credo sia un errore avvicinarsi eccessivamente a Salvini fino a somigliargli, perché quando la gente va a votare sceglie l’originale e non la copia. Credo che non mancherà al presidente Musumeci e ai suoi la capacità di intelligere, di capire e porsi di conseguenza. Fra l’altro lui è il politico che in Sicilia ha la maggiore responsabilità istituzionale”.

Il senso di questa sfida?

“Puoi perdere una battaglia elettorale, ma se ti poni nella condizione di allearti, di condizionare i tuoi alleati anziché esserne condizionato, di essere inseguito e non di inseguire, allora capiranno che senza i tuoi voti la guerra non si vince”.

E se anche Forza Italia, che sembrava pronta in Sicilia a un discorso di questo tipo, venisse richiamata all’ordine da Berlusconi? D’altronde è un partito che senza la Lega faticherebbe ovunque a governare…

“Vede, l’operazione di Berlusconi, che capisce molto di politica, è diversa da quella di Musumeci. E’ l’esatto contrario. Ha recuperato Toti che era su posizioni filo-salviniane, ha dato grande visibilità alla Carfagna, ha evidenziato i concetti secondo cui ‘noi possiamo stare nel centrodestra, però abbiamo la nostra identità e coltiviamo i nostri valori’. Quella del Cavaliere, secondo me, è un’operazione intelligente, ancorché incompleta. Lui ha i problemi tipici di un partito abituato ad allearsi con Salvini, ma il tentativo di Berlusconi è distinguersi. Potrebbero cambiare nome, lanciare una sfida al centro e investire su una nuova classe dirigente. E’ quello che auspico”.

Toti e la Carfagna non sono esattamente il nuovo.

“Però ci stanno. L’uno rappresenta l’anima del Nord, tentata di stare con Salvini ma in un rapporto più organico. L’altra sta animando una politica meridionalista e non perde l’occasione di rimarcare una distinzione netta dalla Lega. Vede, esistono due tipi d’alleanza: quella della quercia e dei cespugli, praticata nel centro sinistra, prevede che quando qualcuno cresce più del dovuto venga troncato; e l’altra, in cui un partito si radica e ha un peso contrattuale nel decidere chi governa un Paese. L’importante è evitare i protagonismi eccessivi”.

Ci sarebbe Saverio Romano, che parla tanto di centrismo. Anche se alle ultime Europee siete stati rivali.

“Non ho colto una proposta nuova fra le cose che leggo. C’è, caso mai, una stigmatizzazione di comportamenti, come nel caso del presidente della Regione, e il rammarico di essere rimasto ai margini”.

E’ vero che Miccichè, in sede di campagna elettorale, le ha offerto un assessorato in cambio del sostegno di Sicilia Futura?

“E’ una grande bufala, non è affatto vero. Con Micciché abbiamo parlato di politica e lui ha aderito al mio invito a riflettere. Ha anticipato, in un certo senso, ciò che sta succedendo in Forza Italia, spiegando che andare con Toti era sbagliato e prendendo le distanze in maniera colorita da Salvini. Secondo me sbagliando, perché non è il mio linguaggio”.

Crede che il rimpasto di giunta sia necessario?

“Il rimpasto non può essere un modo per tappare i buchi. Se così fosse, credo che il governo Musumeci non risolverebbe i suoi problemi. Se invece lanci un’idea, un’iniziativa politica capace di dare una scossa e portare elementi di novità e di rinnovamento della classe dirigente, allora il rimpasto diventa una logica conseguenza. Potrebbe prendere corpo un Musumeci-bis e non ci sarebbe nulla di male”.

Forza Italia vuole sostituire un assessore.

“Ci sta che voglia farlo, ma il rimpasto è un’altra cosa”.