Nello Musumeci ha capito di non essere più gradito, e ha deciso di togliere il disturbo. Forse. La notizia era trapelata già questa mattina durante un incontro alla Baia Verde di Aci Castello. La prima ammissione, invece, è arrivata questa sera, durante l’inaugurazione della mostra “Agata. Dall’icona cristiana al mito contemporaneo”, al palazzo centrale dell’Università di Catania. Musumeci, parlando degli interventi fatti dalla Regione in ambito culturale, ha spiegato che per quelli che non sono finiti “ci sarà il mio successore” perché “io toglierò il disturbo”. Una dichiarazione quasi a sorpresa, considerata l’impuntatura dell’ultimo anno, in cui il governatore ha sempre sostenuto – pubblicamente e non – le ragioni del bis a palazzo d’Orleans. “E’ la legge del contadino che me lo impone. Dopo la stagione della semina, viene quella del raccolto”, ha sottolineato fino allo sfinimento.

Ma qualcosa, negli ultimi giorni, è cambiato. Non è bastata la federazione col partito di Giorgia Meloni, qualche sondaggio favorevole (ma un po’ costruito) e il discreto risultato dell’asse FdI-Diventerà Bellissima a Palermo e Messina, per dare l’ultima sgasata. Il fronte dei ribelli interni della coalizione – dalla Lega a Forza Italia – preme perché ci sia un successore. Ed eccoli accontentati. Musumeci, circondato dai giornalisti, non ha voluto dare troppe spiegazioni – forse la riflessione è ancora in corso? – e si è limitato a dire che “incontrerò la stampa nei prossimi giorni”. Il suo entourage, però, conferma gli indizi.

Al governatore, oltre al sostegno pubblico della Meloni (minato, però, dagli ultimi risultati e dalle prime rimostranze interne a FdI), era rimasto quello di Marcello Dell’Utri, l’ex senatore che ne aveva lodato le gesta fino a qualche settimana fa, fungendo da tramite fra Nello e il Cav., cioè Silvio Berlusconi, affinché si potesse addivenire a una soluzione favorevole per entrambi (e per lo stesso Dell’Utri, che vuole donare alla Regione la sua enorme biblioteca, per esporla, magari, alla Valle dei Templi). Troppo poco per planare a Palazzo d’Orleans per la seconda volta. Nemmeno il “cerchio magico” e la nutrita schiera di assessori al suo fianco – da Gaetano Armao a Ruggero Razza, passando per Manlio Messina e Marco Falcone – sembra poter fare il miracolo.

Musumeci paga infatti un pessimo rapporto con gli alleati, a partire da Gianfranco Micciché (col quale non si saluta nemmeno); i difetti di comunicazione con Salvini e i suoi uomini, specie Luca Sammartino, mr. Preferenze, che da qualche tempo cannoneggia ad ogni occasione utile; e contatti sempre più rarefatti con l’universo centrista, a partire da quel Raffaele Lombardo che costituisce il collante della coalizione di centrodestra se non fosse che, in caso di Musumeci-bis, sarebbe disposto ad appoggiare persino lo schieramento opposto (se il competitor fosse l’amica Caterina Chinnici). Ma anche lo scontro sempre più accentuato con Cateno De Luca, ex sindaco di Messina, che minaccia da mesi una candidatura “parallela” alla sua. Insomma, una serie di problematiche che suggeriscono al governatore uscente di non rompere il giocattolo e garantire, con un passo di lato, l’unità della coalizione tanto agognata.

Prima dell’investitura di Lagalla aveva ottenuto dagli alleati di parlarne dopo le elezioni Amministrative; poi è subentrato un altro rinvio, che postpone la vicenda a dopo i ballottaggi. Segno che qualcosa si è rotto, e che nemmeno Giorgia sembra più disposta a fare un salto nel vuoto per salvare un politico che gli ha già voltato le spalle più volte. Forse.

La Russa: mi sembra una dichiarazione al futuro

“Noto che si tratta di una dichiarazione al futuro e non al presente. Non ho parlato ancora con lui, né con Giorgia Meloni e i dirigenti del centrodestra. Ma per me non è una novità quanto Nello Musumeci dice: la mia prima impressione è che le sue dichiarazioni siamo volte a ribadire che lui vuole l’unita’ di tutto il centrodestra, il sostegno pieno di tutta la coalizione”. Lo ha detto Ignazio La Russa, colonnello siciliano di Giorgia Meloni e vicepresidente del Senato.