Dipendenti senza ammortizzatori sociali da sei mesi; imprese lasciate a secco dalla Regione. Il quadro è disarmante e si intreccia con altre due settimane di “zona rossa” che potrebbero rappresentare il colpo ferale per numerose attività. Le limitazioni per i ristoratori, costretti a dimenarsi fra asporto e domicilio; le chiusure dei negozi d’abbigliamento (con  i saldi appena cominciati), che pagheranno il prezzo più alto. E’ diventato difficilissimo tirare avanti. Altre categorie come le agenzie di viaggio e i lavoratori del mondo dello spettacolo, addirittura, sono fuori dal dibattito. E, in attesa di riaprire, si accontentano dei ristori “romani”.

Dalla Regione, infatti, non ne arrivano molti. L’ultima delibera di riprogrammazione dei fondi europei, approvata da Roma alla vigilia di Natale, non è ancora operativa. Ci si limita alla mancetta da due mila euro per le 56 mila imprese del Bonus Sicilia, al bonus turismo che ha visto partecipare al bando pochissime imprese, e poco altro. E al danno si aggiunge la beffa: l’Inps ha messo nel mirino 465 aziende che avrebbero usufruito illegalmente della cassa Covid, cioè dei rimborsi programmati dallo Stato per far fronte al periodo del lockdown nella scorsa primavera. Alcune imprese avrebbero richiesto la cassa integrazione per i propri dipendenti a fronte di un fatturato addirittura aumentato, mentre in alcuni settori, come per magia, è cresciuto il numero degli occupati, spesso ingaggiati con una data precedente per usufruire degli aiuti di Roma. L’edilizia, in Sicilia, ha fatto registrare un +16%.

Al netto delle mele marce, molte aziende sono con l’acqua alla gola. Chi aveva anticipato la cassa integrazione ai propri lavoratori, in attesa che l’Inps “saldasse” il conto, sta ancora aspettando da sei mesi. E circa sei mila dipendenti, soprattutto artigiani, aspettano ancora il loro turno. A soffrire sono anche altre categorie, come ad esempio i fiorai, costretti a una chiusura “aggiuntiva” da parte del governo Musumeci durante il lockdown di primavera. I fiori sono finiti al macero, invendibili; per loro si è palesata l’opportunità di essere ristorati da parte della Regione. Che però – strano, eh – non ha ancora provveduto ad erogare un euro nonostante avesse inserito la voce nell’ultima “manovra di guerra”. Fra sei-sette mesi, quando ci saremo illusi di tornare alla normalità, si materializzerà la vera crisi. La deadline del 31 marzo, quando scade il blocco dei licenziamenti, potrebbe davvero essere il giro di boa per la Sicilia, che ha chiuso l’anno con un crollo del Pil (-8%, ma non è ancora definitivo) e bruciando parecchi posti di lavoro (i lavoratori stagionali e occasionali, soprattutto). Purtroppo non saranno gli ultimi.