La Sicilia è la regione italiana col numero più alto di assunzioni fra i percettori del reddito di cittadinanza: al 10 febbraio, come comunicato dall’Anpal (l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) e dal Ministro del Lavoro, la catanese Nunzia Catalfo, sono 4.833 le persone che hanno trovato lavoro dopo aver ottenuto il sussidio da parte dello Stato. Nel complesso, ci sono 40 mila nuovi lavoratori in tutta Italia, su una platea di beneficiari che parla di 1,2 milioni di famiglie. Ancora un po’ poco, sebbene il dato sia in naturale aumento (+38%) rispetto a dicembre. In generale, un quarto degli occupati ha fra 25 e 34 anni; circa il 65% ha ottenuto un impiego a tempo determinato, e solo il 20% a tempo indeterminato. Per quasi la metà sono trascorsi oltre sei mesi dalla presentazione della domanda. “Spesso il Reddito di cittadinanza viene accusato di non dare lavoro, ma la verità – come ha spiegato la Catalfo intervenendo sul Blog delle Stelle – è che, come in tutte le cose, serve semplicemente un po’ di tempo perché le scelte politiche abbiano effetto sulla vita quotidiana di ognuno”. La Catalfo è quella che, da sottosegretaria al Lavoro (quando Di Maio era ministro), ha messo a punto la versione finale della misura simbolo dei Cinque Stelle.

Ma la Sicilia, terra da cui proviene, in questi giorni ha mostrato anche l’altra faccia della medaglia. Infatti, è la regione in cui il 26% delle chiamate di lavoro – e in questo caso non c’entra nulla il “sistema reddito” – vanno deserte. Ad affermarlo è uno studio della Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese. Restano vuoti 5 mila dei 20 mila posti a disposizione. Praticamente un quarto. I numeri variano dal 23% di Palermo (su oltre 5 mila posti in ballo) al 32,5% di Siracusa (il terzo dato nazionale fra i capoluoghi di provincia). Tra le tipologie di lavoro che non fanno gola ai siciliani spicca quella degli autotrasportatori. Una mansione considerata eccessivamente dura e usurante, o per la quale le aziende del settore – specie nella parte che riguarda i viaggi fuori dall’Isola – richiedono esperienza che molti ragazzi non possiedono. In questo ambito andrebbero considerati anche i costi: per conseguire, oggi giorno, una patente C o D si spende da 2.500 a 3.000 euro. E non tutti possono permetterselo.

Vengono trascurate, però, anche le occupazioni legate alle imprese del turismo. Talvolta – è il caso delle grosse catene d’alberghi o degli hotel del lusso – perché il personale viene selezionato accuratamente e, data la tipologia di clientela a cui ci si rivolge, servono profili che in Sicilia si fatica a reperire: in primis, con un’elevata specializzazione linguistica. C’è anche un’altra fattispecie: quella delle strutture di medio livello, che, al contrario, richiedono turni lunghi, paghe basse e (spesso) contratti in nero. Mansioni da cui i ragazzi letteralmente fuggono. Un concetto illustrato a “Repubblica” dal coordinatore dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo: “L’offerta di lavoro si sta polarizzando: da un lato gli imprenditori cercano sempre più personale altamente qualificato, dall’altro figure caratterizzate da bassi livelli di competenze e specializzazione. Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa anche dello scollamento che in alcune aree del paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, i secondi, invece, sono profili che spesso i nostri giovani rifiutano e solo in parte vengono coperti dagli stranieri”.

Ed è qui che subentra l’inghippo. Anziché scegliere lavori che non si vogliono più fare, o che richiedono un forte dispendio fisico in cambio di stipendi bassi (gli autotrasportatori guadagnano 1.600 euro al mese), è più facile rifugiarsi nel reddito di cittadinanza. E, magari, poltrire qualche ora in più sul divano. L’introduzione del reddito minimo, però, oltre ad aver alimentato la ritrosia per il “lavoro vero” – ma qui non esistono dati a suffragare una tesi che viene spesso rinfacciata ai Cinque Stelle  – ha avuto un altro effetto, almeno a Palermo: aumentare i frequentatori delle scuole serali. Un fenomeno che riguarda non solo i minori usciti prematuramente dal circuito dell’istruzione, tanto più gli stranieri. Ma anche uomini e donne che in passato, pur di portare a casa pochi spiccioli, hanno interrotto gli studi. O emigrati di ritorno (“Repubblica” cita l’esempio di molti venezuelani, rientrati a casa dopo la crisi che ha investito Caracas). Oggi, avere la licenza media vuol dire continuare a percepire il reddito di cittadinanza. E anche le persone più in là con gli anni sono costrette a mettersi in pari.

Tornare dietro i banchi di scuola è l’ultima moda per ottenere il sussidio. Le altre, quelle più comuni, sono le false attestazioni all’Inps. A Catania, è storia recentissima, sette percettori del reddito di cittadinanza sono state scovate mentre lavoravano (in nero, va da sé) all’interno di una casa di riposo. Per tutti è scattato il sequestro della card gialla. Molti dei beneficiari, lo dimostra la storia degli spaccaossa, si aggirano nei clan mafiosi e nella criminalità organizzata. E, se è vero come è vero che “i numeri raccontano non solo la storia di decine di migliaia di persone che ora hanno una nuova prospettiva e una ragione per impegnarsi, per crescere, per costruire, ma anche la storia delle loro famiglie” (come dice la Catalfo), è altrettanto innegabile che l’introduzione del reddito di cittadinanza sia servito ai furbetti per impegnarsi sempre meno e campare sulle spalle dello Stato.

La fase-2 del reddito, inoltre, va avanti un po’ a tentoni. E’ quella che prevede l’ingresso dei beneficiari nel circuito dei Centri per l’Impiego per la firma di un “patto per il lavoro”. E qui i numeri, come illustrato dal presidente di Anpal Mimmo Parisi, non sono straordinari: “A oggi – ha spiegato Parisi – ci sono 1,2 milioni di famiglie che percepiscono il reddito. Di questi, 908 mila sono quelli che sono tenuti a recarsi ai Centri per l’Impiego. Da settembre al 31 gennaio, 529 mila sono stati convocati, 396 mila si sono presentati, 262 mila hanno sottoscritto il “patto per il lavoro”. Se non ci mettono i bastoni tra le ruote, nell’agosto del 2021 il sistema che permette di incrociare domanda e offerta di lavoro andrà a regime. Ma se dovessero esserci resistenze, come quelle che abbiamo visto quest’anno, sarà più difficile”.

Per evitare le resistenze – già basta Matteo Renzi che “minaccia” una campagna contro a livello nazionale – si corre spediti verso la digitalizzazione ulteriore del sistema. Grazie allo sviluppo della piattaforma già esistente, i navigator si metteranno in contatto con le aziende “per raccogliere le offerte di lavoro e creare una banca dati per fare un ‘matching’ intelligente in base a criteri oggettivi”, ha detto ancora Parisi, spiegando che entro fine anno si dovrebbero vedere i risultati di una interazione più efficace. Ma occorre lavorare anche sull’altro fronte, quello delle sanzioni: non limitandosi a intervenire dopo le inchieste giudiziarie, e le scoperte dei finanzieri, ma prevenendo le furbate a monte. Qualcosa si è mosso: i nuclei familiari che in questi mesi non hanno risposto alla convocazione del centro per l’impiego di competenza per la sottoscrizione del “patto per il lavoro”, mostrandosi legatissimi all’assegno ma riluttanti a ottenere un’occupazione, rischiano di vedersi decurtata una mensilità del beneficio. Questi casi non sono residuali, ma gli “avvertimenti” non sarebbero ancora serviti a estirpare le cattive abitudini.

Eppure Nunzia Catalfo, che è anche la “madrina” del reddito, non ha mai smesso di crederci per un secondo: “Il reddito di cittadinanza sta avendo un effetto positivo sui consumi e sulla crescita economica. Perché dare speranza e benessere alle persone migliora la situazione economica, mentre tenerle nella povertà e nella limitatezza crea un freno che ha effetti negativi su tutto. Con la nostra riforma dei Centri per l’impiego che – lo ricordo – in Italia sono stati abbandonati a se stessi per decenni, verranno assunti 11.600 nuovi operatori che saranno a disposizione di tutti i cittadini, non solo dei percettori di reddito. In questo modo iniziamo a portare il nostro Paese al livello dei partner europei – ha concluso nella sua disamina il Ministro grillino – Sappiamo bene che c’è ancora molto lavoro da fare e non vediamo l’ora di portarlo avanti”.