Fino a ieri i bulli di Palazzo d’Orleans – con i loro milioni, i loro sprechi, le loro arroganze, i loro scheletri nell’armadio – hanno spacciato un’impostura: che l’opposizione di Buttanissima alle loro scempiaggini fosse una voce isolata nel panorama della stampa siciliana: vox clamantis in deserto, per dirla con le sacre scritture. Ma giorno dopo giorno la realtà mostra uno scenario diverso. Due settimane fa, quando il governatore Musumeci ha detto che alla Regione ci sono “palle che non si possono toccare”, Repubblica lo ha subito invitato a denunciare all’autorità giudiziaria fatti, dubbi e sospetti: in pratica lo ha accusato apertamente di essere, più che un politico d’onore, un politico d’omertà.

Come se non bastasse, oggi è arrivata sull’allegra comitiva un’altra sonora batosta. Non la trovate sul Giornale di Sicilia che, pur con il suo stile, mostra ormai da tempo di non avere più alcuna sudditanza verso i potenti che maneggiano le sorti della Regione. Ma su La Sicilia che, manco a dirlo, è il quotidiano più diffuso di Catania, la città dove Nello Musumeci, Ruggero Razza, Manlio Messina – con tutto il seguito di sovrastanti, campieri, avanguardisti e faccette nere – mantengono da cinque anni il quartiere generale. Il giornale dopo avere dato ampio spazio alla festa della moda che ieri sera ha fatto conoscere Siracusa al resto del mondo, scrive testualmente sulla prima pagina: “Domenico Dolce e Stefano Gabbana regalano alla Sicilia stile e prestigio internazionale. Ma l’isola si sente ancora una volta tradita: sotto i tappeti per le sfilate e per i vip la solita spazzatura, autostrade impercorribili e improvvisazione”.

No, carissimi bulli: noi di Buttanissima non siamo soli. Voi credete di vivere giorni fortunati perché nell’aula dell’Assemblea regionale non c’è una vera opposizione: i deputatini del Movimento Cinque Stelle di tanto in tanto strillano ma finiscono quasi sempre per abbaiare alla luna; mentre le vecchie volpi del Pd, combattenti e reduci dell’infelice stagione del crocettismo, fanno di tanto in tanto la voce grossa ma stanno ben attenti a non scoprirsi troppo, perché non si sa mai: qualcuno all’improvviso potrebbe tirare fuori una carta e rinfacciare un errore, un’omissione, una magagna. Si è visto con lo scandalo dell’Ente Minerario, quello dei venti milioni in gioco tra Palermo e Londra. Poteva essere per il Pd – che pure aveva denunciato per primo la presenza di un intermediario d’affari nei corridoi di Palazzo d’Orleans – l’occasione di fare gol, smascherare il trucco e segnare finalmente un punto; ma quando il centrocampista si è trovato davanti al più callido e spregiudicato portiere della squadra avversaria ha preferito tacere e buttare la palla in tribuna. “Ci penserà la magistratura”, avrà pensato. E così pensando, si è rifugiato nell’orticello dell’ordinaria amministrazione, sotto il venticello caldo delle primarie: quell’esercizio comodo e spassoso della politica durante il quale tutti parlano di antimafia e di trasparenza, e tutti si sentono anime belle.

Invece la stampa no, non sempre si perde nella brodaglia della retorica. I giornali mostrano di avere le mani più libere e anche la schiena più dritta. Certo, anche nel dorato mondo dell’informazione – dorato, si fa per dire – ci sono gli intramontabili leccaculisti, gli immancabili truffaldi e gli editori fasulli che si arricchiscono con i contributi a fondo perduto distribuiti a piene mani e senza alcun criterio dal molto onorevole Gaetano Armao, vice presidente della Regione. Ma, per fortuna, c’è Repubblica, c’è il Giornale di Sicilia, c’è La Sicilia e ci siamo, nel nostro piccolo, anche noi. I bulli se ne facciano una ragione.