“Hai voglia a dire che siamo in una fase d’emergenza. Eppure la Regione è ferma”. Lo è dal 14 marzo scorso, giorno in cui l’assessore alla Famiglia e al Lavoro, Antonio Scavone, ha costituito il “Tavolo regionale permanente per la risoluzione della crisi del lavoro in Sicilia causata dalla pandemia Covid-19”. Oggi Confapi Sicilia, la confederazione della piccola e media industria privata, prende le distanze: “Eravamo d’accordo coi sindacati per essere più efficienti e collaborativi possibili – sottolinea la presidente Dhebora Mirabelli – e dare immediata attuazione al decreto Cura Italia emanato dal governo. Ma poi sono subentrati i disguidi tecnici e la Regione non ci ha più ascoltato. Ci sono decine di mail, da parte di aziende preoccupate, che non trovano voce presso le istituzioni”.

Cose da fare ce ne sarebbero a volontà: la gestione della cassa integrazione in deroga, l’immissione di liquidità per le imprese, la moratoria dei mutui e dei debiti contratti. Tutte misure straordinarie di fronte a un evento straordinario: la pandemia. Il primo tavolo di lavoro, coi sindacati e le associazioni datoriali più importanti (tra cui Confapi), avrebbe dovuto svolgersi il 17 marzo via Skype, ma i problemi tecnici nell’allestire la video-conferenza, uniti al fatto che fosse impossibile contattare la segreteria dell’assessorato (“I numeri risultavano muti”), l’ha impedito. “Nei sette giorni successivi siamo rimasti inascoltati, ma la cosa più grave che merita di essere denunciata è che l’errore si è ripetuto alla seconda convocazione del 24 marzo. Nella seconda lettera, in più, abbiamo appreso la mutazione della natura e della sostanza del tavolo che da strategico e operativo è diventato permanente e allargato. I motivi? Di “delicatezza e urgenza”. Ma come fai a discutere con 49 associazioni tutte insieme, se già con 8 era risultato impossibile? Al nuovo tavolo avrebbero dovuto partecipare sigle sconosciute e inattive da anni”.

Presidente, non è questo il momento dei campanili.

“La questione è un’altra. Noi ci stavamo preparando a riunire le diverse esigenze in tavoli suddivisi per settore. Questa scelta da parte del governo, però, ha vanificato il senso della chiusura della contrattazione veloce. Non hanno avuto il tempo di leggere le mail degli 8 attori convocati per primi, ma le richieste di 49 associazioni sì. Strano… Senza che noi ci fossimo minimamente espressi, c’era già una bozza di documento da sottoporci. Per questo sia Confapi che i tre sindacati maggiori, Cgil, Cisl e Uil, hanno disertato il secondo incontro. Non si può pensare, in un momento così delicato, di allargare il tavolo a cinquanta associazioni. Diventa solo una passerella politica”.

Perché è accaduto?

“Il governo avrebbe dovuto richiedere gli statuti e la mission a tutte le associazioni coinvolte in questo tavolo di crisi. Alcune, come Pmi Sicilia, sono inattive da due anni”.

Riaprirete il confronto col governo?

“Mi hanno contattato ieri mattina, due ore dopo il comunicato stampa in cui denunciavo tutto, per chiedermi l’indirizzo Skype. Non le nego che con Cisl e Uil abbiamo proseguito la concertazione. Abbiamo bisogno di dare risposte chiare ed evidenti alle aziende in crisi. Alcune hanno chiuso e vanno rimesse in piedi. Qui non si tratta di operare un piano strategico o una programmazione per i prossimi tre anni, ma di adottare delle misure riparatrici. Non possiamo filosofeggiare e andare alla ricerca di consenso politico. La crisi determina la necessità di fare scelte veloci e produrre effetti immediati, nel limite delle risorse disponibili”.

Quali sono le aziende che stanno soffrendo maggiormente gli effetti del Coronavirus sull’economia?

“Tantissime. Innanzitutto quelle del settore Horeca: hotelerie, ristoranti e café. La chiusura di 1500 bar in tutta Italia – un settore che fino all’anno scorso cresceva a un ritmo incredibile – ha provocato la chiusura di tutte le aziende fornitrici . Tra gli associati di Confapi c’è Moak, l’azienda del caffè: la sua produzione è destinata per l’80% ai bar e per il 20% all’estero. Dal momento che molte frontiere sono state chiuse, le lascio immaginare in che stato si trovi. Un altro settore in ginocchio è quello del turismo e all’agriturismo: stiamo provando a risollevarli attraverso una campagna che spinge al consumo dei prodotti siciliani. E poi ci sono i trasporti”

Il trasporto su gomma e su ferro è proseguito, anche se limitatamente alle merci.

“Autisti e autotrasportatori, in queste settimane, hanno subito troppe discriminazioni. Un altro settore che fatica è quello ortopedico e sanitario. Per non parlare di parrucchieri e centri estetici, che è una filiera allo sbando di cui bisogna occuparsi al più presto. Poi ci sono le partite Iva: siamo reduci da due anni di incentivi per aprirne di nuove, e adesso si trovano in enorme difficoltà. Ma non bisogna dimenticare fiorai e vivai, la cui produzione è ferma; innovazione tecnologica e informatica; e il telelavoro, che in Italia e in Sicilia è molto farraginoso”.

A cos’altro sarebbe servito il tavolo di crisi con la Regione?

“Avremmo voluto chiarire anche il tema delle ferie non godute: se si applica la cassa integrazione tout court si finirà col chiedere al lavoratore di usufruirne in anticipo. Ma sarebbe una contraddizione in termini, poiché rischia di dilatare i tempi per poter usufruire della liquidità di cui hanno bisogno per spendere e rilanciare i consumi”.

La Regione ha proposto una sanatoria per gli assegni postdatati.

“Ci stavamo ragionando assieme al presidente Unionalimentari per aiutare i bar in difficoltà. Se gli assegni emessi il mese scorso non verranno pagati, ci troveremmo con una serie di bar in protesto. Bisogna interloquire con il Mediocredito centrale e con le banche e immaginare uno strumento di liquidità con automatismi immediati, e con la possibilità di prevedere la restituzione nel lungo periodo. Un’altra cosa da fare è abbattere le tasse”.

Quali altre iniziative può mettere in campo il governo regionale?

“Intanto vogliamo vederci chiaro su questi 30 milioni assegnati dalla Regione all’IRFIS per dare liquidità alle imprese. Mi dicono che per siglare l’accordo serve la firma dell’Abi. Poi sarebbe utile utilizzare i 150 milioni promessi dall’assessorato all’Economia per elaborare strumenti snelli e dare un aiuto immediato alle aziende in difficoltà. Ma non sotto forma di agevolazioni a tasso zero, che non aiutano, bensì di interventi coraggiosi e finanziamenti a fondo perduto. L’altra speranza è Bruxelles, dato che il piano italiano da 25 miliardi è inadeguato”.